Il nonno salumiere e la corte Biraghina

Il patriarca dei Raffa gestiva una gastronomia, ma tornò alla terra

Questo tratto di campagna, quasi nei pressi di Castiglione d’Adda, ma ancora al confine di Terranova dei Passerini, mantiene un aspetto d’altri tempi: un angolo di foresta, uno squarcio di palude, l’ombra di atavici alberi, giusto ai margini della costiera dell’Adda.

Sono ospite di Ettore Raffa, alla cascina Biraghina. Lui parla degli eventi come un marinaio solcherebbe le onde di un mare in tempesta: appena sfiorandoli, e lasciandosi trasportare da ulteriori ricordi e da altre storie. È una di quelle persone che hanno il cuore d’oro, ma lo nascondano dentro tante corazze: indossa un cappello di lana, che gli nasconde le ciocche bianche di capelli ancora ribelli, una barba di qualche giorno, gli abiti disordinati del lavoro in stalla, e degli occhi straordinari, grigi, come un cielo dentro al quale il sole si è nascosto e manda barlumi di luce soltanto qui e lì, occasionalmente, allorchè i pudori di uomo riservato si abbassano e la luminosità dei sentimenti può filtrare: dice che è nonno e c’è uno sprazzo, dice che i tre figli hanno studiato all’Università e c’è un altro sprazzo, dice che la moglie è ormai più di un decennio che è mancata e questa volta il barbaglio degli occhi sembra uno scintillio di rugiada.

cristinziano gorla

La cascina Biraghina è come il luogo dove è collocata: una realtà autentica, in parte aspra, apparentemente trascurata, ma dove un arco antichissimo convive con una costruzione moderna, un dipinto antico, nel patio padronale, anticipa le opere surreali, esposte in casa, di Ugo Maffi e quelle di Ilia Rubini, ed uno squarcio remoto s’affianca ad un nuovo progetto.

Ripercorrere la storia di questo luogo significa incontrare nuovamente personaggi storici ed agricoltori di vecchio corso di cui avevo, in parte, già sentito narrare le vicende, e conversando con Ettore Raffa, la grande famiglia della società agricola si rivela, in modo formidabile, come un unico immenso grande lignaggio, dove la figura più distante dalla prima ha con essa un possibile, pur flebile e lontanissimo, legame di parentela.

Mi capita così di riflettere che da queste parti ebbe a transitarvi il mitico Cosimo Castiglione, fiorentino di nascita, che ricevette in feudo queste zone nel 1682. E, nei tempi più recenti, soprattutto, Cristinziano Gorla, agricoltore lodigiano, che vantava sul territorio più di una possessione agricola.

Per quanto ricco e benestante, Cristinziano non era riuscito mai a lenire un vago sentimento di solitudine, che lo rendeva malinconico. In fondo, la cascina Biraghina l’aveva acquistata proprio per alleviare questa sua malinconia: la corte era, infatti, vicino all’abitazione di una sua sorella, che stava a Maleo. E così egli poteva andare a trovarla con maggiore facilità. Divenendo anziano, pensò invece che la cosa migliore fosse quella di avere stabilmente una compagnia in casa: e ospitò una sua nipote, figlia della sorella; ella, che era appena ventenne, e di cui non è dato sapere con quali sentimenti si recò a vivere in casa del vecchio zio, si chiamava Luigina.

Certo è che, contenta o meno che fosse, quando lo zio morì si trovò ad ereditare una piccola fortuna. Con il marito Achille Palazzi, uomo già apprezzato per le sue qualità di segretario comunale, si adoperò per stipulare con i fittavoli i nuovi contratti di conduzione, verificando che le corti mantenessero la loro integrità. Dopo qualche tempo si rivolse ai nipoti. E fu così che alla Biraghina di Terranova dei Passerini arrivarono i Raffa.

il nonno salumiere

Questa famiglia è originaria del Lodigiano, ma alcuni di loro vissero per un periodo a Como. Il nonno di Ettore, che portava lo stesso nome, era un agricoltore, ed al tempo stesso un uomo che non amava restare troppo fermo nello stesso luogo e facendo sempre le stesse cose. Aveva una grande passione: quella della gastronomia. Così, di punto in bianco, decise che sarebbe stato più congeniale al suo carattere fare il salumiere: mollò terreni e bovine e si trasferì a Milano, aprendo un paio di botteghe. Divenne un vero esperto nella preparazione dei cotechini e nell’infarcire salsicce e salami. Poteva fare una fortuna: ma anche lì, dopo qualche tempo, decise di andare via. Questa volta a Somaglia, ma per riprendere il legame con il lavoro agricolo: divenne fittavolo alla cascina Caselnuovo. Ma era il momento sbagliato: a causa della crisi del 1929 il proprietario fallì, la sua cascina fu alienata, ed Ettore Raffa senior dovette sloggiare, tornandosene a Como, e questa volta a fare daccapo il salumiere.

Passarono gli anni. E quando Luigina Palazzi, che era sua cognata, avendo Ettore senior sposato una sorella di lei, gli chiese di tornare ad indossare gli abiti dell’agricoltore, venendo a condurre la Biraghina di Terranova dei Passerini, egli non se lo fece ripetere due volte. Era il 1952. Tre anni dopo lo raggiunse anche il figlio, Enrico, che aveva proseguito con la bottega di salumeria in attesa di cederla ad un nuovo acquirente.

di nuovo ai campi

I Raffa, il vecchio patriarca ed il figlio Enrico, mostrarono le loro qualità: sostenuti inizialmente dalla loro parente, Luigina Palazzi, si buttarono a capofitto sul lavoro; non era semplice con un terreno difficile come quello che circonda la Biraghina: ma possedevano una straordinaria passione e non si fermavano davanti a nessuno ostacolo.

Enrico, già avanti con gli anni, si limitava a coordinare i lavori di uomini che rappresentavano davvero una squadra unita e caratterizzata da forti legami: in testa il figlio Enrico, poi il fattore Giuseppe Ercoli, che era arrivato alla cascina Biraghina quando aveva otto anni, durante il periodo di Cristinziano Gorla, ed alla fine aveva trascorso lì tutta la sua esistenza; poi c’erano i Loda, loro arrivati ai tempi di Achille Palazzi, altri lavoratori molto bravi, persone di straordinario affidamento.

Il signor Enrico Raffa fu un agricoltore intelligente: capace di assumersi le proprie responsabilità e di dare spazio agli altri, non si atteggiava con i propri uomini a datore di lavoro, nè a proprietario quando la sua famiglia ereditò dalla zia Luigina la cascina e parte del terreno: ma si relazionò con loro come uno del gruppo. E lo stesso fece suo figlio Ettore junior, testimone di questa storia. Lui, da giovinetto, vide ad esempio nei fratelli Loda, ragazzi in fondo solo di qualche anno più grandi di lui ma già uomini nei modi e nelle esperienze, riferimenti da cui imparare. Non solo il lavoro, ma la cultura della vita.

la caccia alle rane

Ad Ettore Raffa rimangono impressi nella memoria tanti episodi, alcuni persino semplici ma rilevatori di un tempo ormai veramente lontano. Come la caccia alle rane. Ormai - dice abbagliando i suoi occhi grigi di barlumi nostalgici - di rane lodigiane non se ne trovano più; quelle che si acchiappano sono piacentine, che vivono dentro ai fossi e sono sempre incrostate di fango. Le rane lodigiane, invece, erano speciali. Snelle, con le ossa finissime, e poi stavano quasi tutto il tempo nelle acque dei fossi e delle rogge. Per catturarle si andava al tramonto, ancora più verso la sera, quando pascolavano sui prati: l’erba non doveva essere ancora alta, altrimenti si creava danno alle colture. Si strisciavano i piedi sul terreno e le rane, spostandosi, saltellavano in aria: con estrema abilità le si acciuffava con le mani. Ettore ricorda che ne acchiappava sino ad un’ottantina. Poi si portavano in casa. Con un colpo di forbice le si decapitava: via pure le zampette, pulizia degli interni, le si infarinava, e le si friggeva per la cena. La ricerca della rana non era una caccia all’animale. La rana era cibo: come fosse un prodotto dell’orto, del pollaio, insomma, faceva parte dell’alimentazione comune.

Anche l’ortaglia aveva i suoi riti. Le verze, ad esempio, venivano interrate sul campo per essere mangiate durante l’inverno; si scavava un buco e vi si depositava dentro la paglia, poi la verdura, ed altra paglia, infine si ripianava la superficie di terra. Avere la verza anche in pieno inverno significava poter gustare il cotechino o condire il riso.

L’azienda agricola della famiglia Raffa, intanto, si ampliava: a metà anni Settanta, a seguito della costruzione della stalla all’aperto, il tradizionale numero delle bovine da latte, che nel tempo era stato intorno alle quaranta, era stato portato ad un centinaio.

agricoltori uniti

Ettore Raffa aveva forse cercato per sè stesso una strada diversa che non quella specifica dell’agricoltore: s’era diplomato perito elettrotecnico e aveva già frequentato i primi due anni d’università nella facoltà di veterinaria. Ma il padre gli aveva insegnato anche i lavori in stalla, e, la mancanza di nuovi mungitori, che avevano cominciato l’esodo verso l’industria, gli impose di abbandonare le aule universitarie, tornare in cascina e darsi tanto, tanto da fare. Nel frattempo Ettore aveva sposato Manuela Gandolfi, di Castiglione d’Adda, la cui famiglia vinicola da tantissimi anni il proprio nome alla farmacia del paese.

Poi la stalla fu interessata dalla leucosi, molte bovine s’ammalarono, e fu necessario procedere ad un’opera di radicale risanamento. Il numero fu drasticamente ridotto, tornando alle originarie quaranta. Il ridimensionamento non è dispiaciuto ad Ettore Raffa, che da anni riflette, e matura, un’idea diversa d’agricoltura, utile per la sopravvivenza del settore. Ritiene ormai essenziale ispirarsi ad una vaga forma di sistema cooperativistico, dove alcuni agricoltori si associno per proporre le specificità che le loro aziende agricole possono offrire al territorio: l’ambizione è quella di vendere il proprio prodotto, almeno in parte affrancandosi dalla grande industria per la commercializzazione dei propri beni, realizzando al tempo stesso una filiera corta, dove i fabbisogni dell’azienda siano soddisfatti direttamente all’interno della propria realtà o, appunto, grazie a quel piccolo consorzio realizzato da gruppi di agricoltori.

un futuro di speranza

Raffa ci crede a questo futuro. E il suo senso della profezia rincuora i suoi figli. Ha avuto la fortuna di avere tre splendidi ragazzi: il primogenito è Emilio, ha 27 anni, è laureando in farmacia presso l’Università di Pavia, e un giorno, pur nel tempo libero che gli lascerà la professione, gli piacerebbe dare una mano all’azienda agricola di famiglia.

Poi c’è Paola, venticinquenne, architetto d’interni: vive a Corno Giovine con la propria famiglia. Infine, Anna Maria, ventiduenne, studentessa universitaria in Scienze chimiche, anche lei, pur nella volubilità dei suoi giovani anni, pensa che non le dispiacerebbe diventare imprenditrice agricola a tutti gli effetti e immagina di realizzare tutto quello che progetta e matura papà Ettore. E nel cuore di casa Raffa nuovi giorni svelano, impercettibili, appena accennati, i propri acerbi, delicatissimi profili.

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