Il fascino senza tempo della San Bruno

Vado a San Colombano in un pomeriggio di sole che pare intenda farsi beffe dell’autunno: c’è una luce accecante che lambisce il profilo della collina e plana più quieta verso la pianura. Arrivo così alla cascina San Bruno, un luogo la cui bellezza mozza il fiato. Mi sembra che uno stato d’estasi possa cogliermi da un momento all’altro, tanto è incantevole questa corte.

un restauro illuminato

La sua storia è millenaria ed è importante ripercorrerla dalla fine, non dal principio. Anzi, a cominciare dal futuro, da quello che accadrà domani: la cascina è oggetto di una meritoria opera di graduale ristrutturazione; adesso è l’oratorio, ovviamente intitolato a San Bruno, ad essere rinnovato: il basamento dell’altare ha già avuto il suo recupero, poi toccherà ad ingresso, pareti, dipinti. La struttura mantiene nella parete del presbitero l’incavo che conteneva la pala d’altare raffigurante l’Assunzione della Vergine, ora conservata presso la parrocchiale del paese, mentre ai lati erano affrescate, e qualcosa s’intravvede ancora, le figure di san Giovanni Battista e di san Bruno. Sotto l’oratorio esiste ancora una grande cantina a volte con mattoni a vista. E non è questa l’unica particolarità della cascina: nei pressi della casa padronale vi è un grande portico, attraverso cui si accede ad un ambiente adibito a tinaia. Alcuni campi della possessione mantengono le più antiche denominazioni come vigna stretta, vigna vecchia e vigna nuova.

Il merito dei lavori di restauro è tutto da attribuire all’architetto Maria Luisa Formenti Seveso, milanese, proprietaria dell’immobile insieme alla sorella Gabriella e alla cugina Daniela Formenti. L’architetto Seveso è una donna che coniuga la passione per lo studio, la gentilezza d’animo e dei modi, il gusto per la conservazione delle opere che svelano l’identità di un luogo. Può dunque ben dirsi che con il recupero della cascina San Bruno ella ha interpretato un vero e proprio atto d’amore verso la realtà delle cascine.

L’architetto Maria Luisa è stata assistente universitaria del professor Crema, sovrintendente ai Beni Architettonici della Lombardia, docente al Politecnico, e da lui ha appreso lezioni memorabili sull’obbligo della conservazione dei beni rurali; anche grazie a questa frequentazione, lei ha preso passione a ribellarsi contro la decadenza delle cascine, investendo sul recupero del proprio bene di famiglia.

La lodevole azione dell’architetto Seveso non ha avuto, come mi sarei ingenuamente aspettato, il plauso dell’unanimità: il movimento dei Verdi anni fa bacchettò la professionista per avere affittato ettari di terra per la posa di pannelli fotovoltaici. Le polemiche furono molto aspre e si ricorse pure alle carte bollate. L’architetto Seveso dovette ingoiare qualche boccone amaro finchè la Regione Lombardia e la Provincia di Milano non le diedero ogni ragione: non c’era il temuto deterioramento del paesaggio rurale; inoltre il ricavo dell’affitto era utilizzato proprio per la rinnovata valorizzazione di un bene architettonico, quello della cascina, che appartiene a pieno titolo all’immagine ed alla bellezza del territorio. A garanzia del recupero del terreno, infine, vi è una fideiussione che garantisce il pieno ripristino dei campi nel loro stato originale.

gli affittuari

La cascina San Bruno appartiene alla famiglia Formenti dal 1880, anno in cui l’agricoltore Ferdinando Formenti la rilevò dai Belgioioso. Per lui si trattò di una forma d’investimento del proprio reddito, perchè non venne mai a condurre direttamente la possessione. I Formenti, infatti, curavano le zolle di terra in quel di Borgo San Giovanni, quando ancora questa realtà era soltanto nota con il nome di Cazzimani, avendolo mutuato da un’antichissima famiglia del luogo. Qui avevano la proprietà della cascina Sacchelle.

Il ceppo originario dei Formenti - almeno quello che memoria ricordi - era costituito da otto fratelli maschi, di cui ben sette erano stati garibaldini. L’ottavo non aveva indossato la camicia rossa, ma s’era dedicato maggiormente agli affari, ed era appunto quel Ferdinando che aveva acquistato la possessione San Bruno.

L’aneddotica racconta che allorché morivano i fratelli Formenti, si mormorava che il prete non volesse celebrare i loro funerali, appunto in quanto garibaldini; ma poi, dietro lauta offerta e promessa di messe perpetue, riconoscendo che malgrado questo vizio politico i Formenti erano delle gran brave e generose persone, il prevosto accettava di officiare la funzione funebre.

Alla cascina San Bruno, i Formenti lasciarono come affittuaria la famiglia Bianchi, i cui componenti conducevano la corte sin dai tempi dei Belgioioso: il loro primo contratto d’affitto risaliva infatti al 1816. I Bianchi erano veri agricoltori di razza: l’ultimo loro discendente fu il veterinario del paese, persona apprezzata nel Lodigiano, e che ebbe un solo, piccolissimo neo: si mise in testa di realizzare un allevamento di polli, e li stipò tutti nell’oratorio, dando a questa struttura il definitivo colpo di grazia.

Nel frattempo i Formenti continuavano ad ereditare la cascina di generazione in generazione: pur rimanendo sempre nella stessa famiglia, cambiavano i legittimi proprietari così come gli affittuari.

I Bianchi, infatti, rimasero sino al 1935, dopodichè subentrarono i Ratto. La caratteristica di questa famiglia pare fosse la bellezza: erano quattro fratelli, tre maschi e una femmina, e ciascuno di loro possedeva un fascino davvero speciale; è probabile che qualcuno fu scritturato anche per il cinema, perché alla cascina San Bruno furono girati gli esterni del film La donna del fiume, con protagonista Sofia Loren.

Successivamente divenne affittuario il signor Andreoletti, un cavatore di sabbia: egli però aveva chiesto ad un proprio genero, tale Franco Cadeo, di occuparsi dell’azienda agricola. Fu lui l’ultimo affittuario della cascina. Dopo oltre quattro secoli di affittanza - il primo contratto fu siglato dalla famiglia Boselli nel 1595 - la cascina veniva condotta direttamente dalla proprietà. La scelta poteva anche apparire clamorosa in quanto il destino della cascina San Bruno sembrava intimamente legato alle figure degli affittuari: la corte era sempre stata condotta da queste figure, e mai - in oltre quattro secoli di storia - dalle relative proprietà. Si trattava, inoltre, di affittuari di lungo corso: i Grossi la condussero, ad esempio, dal 1622 al 1694; i Cambielli da questa data sino al 1782.

carolina e l’ingegnere

Dei Formenti, a prendere in mano le redini della corte fu la signora Carolina, nata nel 1910. La signora è morta lo scorso anno, all’età di 101 anni: era una donna estremamente ordinata e precisa, e considerava la cascina San Bruno un luogo ideale per la villeggiatura, dove trovare un’oasi di vera tranquillità rispetto al caos di Milano. Ella era sposata con l’ingegner Antonio Seveso, un professionista di rinomato prestigio; l’ingegnere aveva progettato il primo tratto dell’Autostrada del Sole, era stato consulente per la realizzazione della centrale idroelettrica presso l’Isola Serafini e per quella sul Ticino a Porto della Torre; aveva pure partecipato alla realizzazione del primo lotto della metropolitana. Insomma, era un professionista che aveva girato mezzo mondo, chiamato sempre per consulenze e apprezzato per il suo rigore ed il suo impegno. La cascina San Bruno, quindi, una volta che l’ingegnere divenne anziano, gli apparve come il luogo ideale per ritemprarsi dalle fatiche: e fu lui, per primo, a puntellare le strutture che più gli apparivano in decadenza. Durante i pomeriggi estivi, gli piaceva mettere ordine nelle carte e ripassare la storia di questa gloriosa corte.

La cascina San Bruno era stata costruita nel 1594 per volontà dei monaci certosini: è probabile che essi seguirono direttamente i lavori, tanto è vero che il perimetro dell’aia della corte è assolutamente identico a quello del chiostro interno della Certosa di Pavia.

La possessione, che aumentò nel tempo relativamente al numero di pertiche, in grande parte site sulle colline di San Colombano al Lambro dove si coltiva la vite, rimase ai monaci sino al 1782, anno in cui l’Austria espropriò i beni dei religiosi. La cascina San Bruno fu allora attribuita ad un funzionario della Cancelleria del Dipartimento Aulico d’Italia in quel di Vienna; il quale, probabilmente, venne a vedere la cascina San Bruno, ma se ne guardò bene dal condurla direttamente, preferendo che in sua vece la conducessero altri: in quel periodo era affittuario tale Paolo Gandolfi.

Nel 1795 la possessione San Bruno divenne proprietà del conte Ludovico Barbiano di Belgioioso. E da lui la storia che intreccia la famiglia Formenti, e poi quella Formenti Seveso.

l’agriturismo

Da qualche anno in questa cascina è stato realizzato un confortevole agriturismo con le caratteristiche del bed and breakfast: gli spazi sono stati ricavati nella zona che era adibita alla vecchia stalla dei cavalli con il sovrastante fienile. Le camere da letto - una decina - sono poste al piano superiore, mentre a piano terra vi sono le zone comuni, tutte realizzate con raffinato gusto: da quella del soggiorno con diversi autonomi angoli, all’ampia stanza per la prima colazione, sullo stile di un antico refettorio, ad un raccolto salone con camino, dove è possibile trascorrere momenti di relax; bellissima la veranda all’aperto, prospiciente l’ingresso, attrezzata con confortevoli poltrone, e vista a perdita d’occhio sulla campagna. I milanesi adorano questo posto, prescelto da loro per la pace che offre. L’architetto Maria Luisa Seveso vuole ancora migliore l’edificio, e il suo impegno è ammirevole perché questa corte è molto estesa ed è ben noto a tutti quanto sia difficile il recupero dei fabbricati. Perciò la cascina San Bruno simboleggia quasi una sfida alle tante, troppe cascine che nel Lodigiano crollano a pezzi: è allora possibile pensare ad una riscossa, immaginare ancora un futuro per le corti del territorio, far sì che esse diventino meta di turismo e di cultura. Le cascine hanno mantenuto inalterata nel tempo la loro bellezza: in un paese che s’uniforma per brutture, esse s’esaltano grazie al loro immutato splendore.

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