Il baluardo dell’antica Osteria del Pozzo

L’impegno agricolo e gastronomico dei Beltrametti a Modignano

Come mai non mi era mai capitato di giungere da queste parti, eppure vicine, vicinissime ad un paese, Tavazzano con Villavesco, che frequento da molti anni? Mi consola che anche il mio amico Giacomo Rossi non si stia orientando: sta girando la frazione di Modignano in lungo e in largo, ma non riesce ad individuare l’antica Osteria del Pozzo. Vi giungiamo confusi come avessimo percorso una caotica ed inespugnabile metropoli. Ho sentito dire che questa, una volta, neanche troppo tempo addietro, era una bellissima realtà rurale; uno di quei luoghi che, quando vi si arrivava, raccolto com’era in un fazzoletto di terra, ci si sentiva definitivamente a casa. La gente, anche quella, faceva parte di una comunità poco più ampia di una famiglia: ci si conosceva. Ciascuno sapeva dei bisogni degli altri: una parola di conforto, un aiuto, un sostegno, non si negavano mai, come deve avvenire fra amici.Ora è tutto diverso. Lo dice chi vive qui da sempre; la frazione si è ingrandita, le case si susseguono una dopo l’altra, l’agglomerato si sposta ad ovest, tutto si uniforma. Sopratutto, non ci si conosce. Non si fa più comunità. I valori si sono bruciati nel falò dell’anonimato.

ORIGINI AGRARIE

Della vecchia frazione di Modignano restano, allora, due baluardi: l’oratorio dedicato a Sant’Andrea apostolo e l’antica Osteria del Pozzo. Le prime notizie certe dell’edificio sacro risalgono all’anno 1583, in occasione della visita pastorale di monsignor Bossi, vescovo di Novara, ma è probabile che la sua costruzione fosse avvenuta un’ottantina di anni prima. L’osteria, invece, ha una tradizione maggiormente recente, ma comunque anch’essa più che secolare.Gli osti sono i coniugi Cesare Beltrametti e Adriana Ruggeri, coniugati da cinquant’anni. Legata a questa osteria, c’è sempre stato anche un impegno agricolo. I Beltrametti, infatti, nascono come piccoli coltivatori diretti. Il capostipite si chiamava Domenico ed era originario del Pavese. Uomo burbero e nervoso, comandava tutti quanti a bacchetta: aveva avuto dieci figli, e dovendo dividere fra tutti il suo affetto, aveva deciso di non manifestarlo a nessuno, e di dare ai suoi ragazzi una sola grande lezione morale: per campare, serve lavorare, e anche tanto.Godendo inizialmente di poco terreno, non sufficiente a sfamare così tante bocche, aveva deciso di spostarsi nel Lodigiano: ed era venuto qui a Modignano, dove aveva rilevato una cascina di cento pertiche. Ciò accadeva agli inizi del Novecento.I Beltrametti conducevano una stalla con dieci bovine; il latte veniva consegnato alla ditta Invernizzi di Melzo: all’alba e al tramonto due bidoni venivano posti all’ingresso della cascinetta e prelevati da un operaio della ditta. Per anni l’impegno fu rilevante, ed anche appagante. Il lavoro sui campi garantiva fieno per il fabbisogno della stalla, e anche in abbondanza: Domenico preferiva tenerlo come scorta, temendo le stagioni negative, ma se proprio qualche collega agricoltore insisteva, allora, gliene cedeva eccezionalmente un covone.

UN PICCOLO SPACCIO

Nel 1937 i Beltrametti avevano deciso di affiancare a quella agricola un’attività commerciale e avevano avviato un piccolo spaccio alimentare, dove si vendeva dell’apprezzato salame, ricavato dai pochi maiali che avevano in cascina; di fianco avevano pure un’osteria per la mescita del vino. L’esercizio era stato rilevato dai Salò, che da anni conducevano lì a Modignano la storica posteria; il figlio del titolare, Antonio, lavorava in agricoltura, ed era rimasto monco di una gamba, risucchiatagli da una trebbiatrice. Non sarebbe stato l’unico incidente lì nella frazione, ed un altro, molti anni dopo, avrebbe travolto la serenità di casa Beltrametti.Forse Domenico in cuor suo era un uomo anche pessimista perché, pur coadiuvato dai figli, decise che l’agricoltura potesse nel futuro non costituire più una rosea prospettiva e, come suo stile, senza interpellare nessuno, pensò di vendere buona parte del terreno e la cascina, e spostò la famiglia in un edificio più modesto, dotato di una piccola stalletta.Fu una scelta che in casa apparve eccessiva, ma nessuno osò contestare quella decisione. I Beltrametti continuarono a mungere le bovine e la ditta Invernizzi non fece mai venire meno il proprio sostegno: anche se per cinquanta litri di produzione quotidiana, due volte al giorno l’operaio si presentava a prelevare i due bidoni. Dei cinque figli maschi di casa Beltrametti, uno morì durante il primo conflitto mondiale; un secondo, Giuseppe, trovò lavoro nella fabbrica Saronio di Melegnano, seguito successivamente dal fratello Egidio; Mauro e Piero fecero gli agricoltori.

UN DRAMMA FAMILIARE

Mauro Beltrametti era nato nel 1904. Appariva una persona mite, e dal genitore aveva appreso in modo ferreo la regola che l’unica cosa che davvero contasse nella vita fosse il lavoro. Aveva sposato Giuseppina Moro, il cui padre faceva il masè (cioè il piccolo coltivatore diretto); i Moro erano tutti malghesi: d’estate andavano all’alpeggio, conducendo la loro dozzina di bovine, e d’inverno scendevano a valle: Giuseppina, che era del 1912, era nata durante i mesi invernali, e dunque aveva avuto i propri natali nel Lodigiano. Era al pari del marito una lavoratrice instancabile: stava sempre sui campi: rastrellava, erpicava, seminava. Silenziosa e discreta, non interferiva mai rispetto alle indicazioni che dava il marito.Mauro e Giuseppina avevano avuto tre figli: Cesare, Severino, e Piera, che sposò un ambulante di stoffe al minuto. I due giovani fratelli avevano tra loro un legame profondissimo. Severino era del 1933, Cesare di tre anni più giovane. Il primo era forse più estroverso e sognatore. Cesare più fermo, ma aveva una stima profonda per il fratello più grande. Entrambi avevano imparato il mestiere di agricoltore, ma l’impegno in quegli anni si era ridotto considerevolmente, ed i ragazzi avevano scelto di andare a lavorare presso un grossista di alimentari a Melegnano. Partivano all’alba, raggiungevano l’azienda, dove lavoravano nel magazzino, e al tramonto ritornavano in cascina. Sempre uniti, sempre d’amore e d’accordo.Un sabato mattina del giugno 1951, Severino decise di prendersi un giorno di riposo, e propose al fratello minore di andare a riposarsi sulle sponde dell’Adda, godendo di una giornata di sole; ma Cesare doveva ultimare un lavoro, ed era andato in azienda. Eppure si sentiva inquieto, qualcosa non lo aiutava a portate a termine l’attività. Ad un certo punto squillò il telefono: Cesare osservò l’apparecchio ed ebbe la sensazione che quel suono fosse sinistro: una sensazione che non scordò più per tutto il resto della sua vita, tanto che anche ora che ne parla ha la sensazione di rabbrividire. Rispose il principale. Che ebbe la prontezza di non dire una sola parola, si limitò ad annuire e basta. Quando posò il ricevitore disse a Cesare che l’avrebbe riportato subito a casa in quanto il fratello aveva avuto un incidente. Il ragazzo si mise ad urlare, e non ebbe esitazioni nell’affermare che Severino era certamente morto. Il principale provò a negare, a dire che non si avevano ancora informazioni certe, si comportò da buon padre di famiglia, attento a non dare di colpo la peggiore delle notizie. Ma Cesare aveva già capito tutto: il fratello, infatti, era annegato nell’Adda.

IL RITORNO ALLE ORIGINI

Per un paio di mesi, Cesare provò a riprendere la quotidianità della vita: ma quel magazzino, già smisuratamente grande, senza il conforto della presenza del fratello, gli sembrava immenso. Allora, Cesare si accasciava su una sedia e piangeva. Alla fine, comprese che lì non avrebbe più potuto continuare e, nel 1952, scelse di tornare nell’azienda agricola.I Beltrametti avevano da molti anni spostato l’osteria e la posteria nel piccolo edificio dove si erano trasferiti, rilevando l’attività dai fratelli Celeste ed Enrichetta Frassei. Cesare Beltrametti badava anche alla terra, mentre suo padre Mauro, ormai anziano, pensava alla mungitura delle quattro bovine rimaste. Queste vacche furono tenute sino alla morte del vecchio Mauro, avvenuta nel 1973. Un conforto fondamentale per alleviare la scomparsa dell’amato fratello Severino, il buon Cesare lo trovò nella moglie: la signora Adriana Ruggeri. Anche lei è originaria di Modignano; suo padre faceva l’operaio nell’azienda Elettrosolfuri di Tavazzano. Adriana era rimasta molto colpita dai modi galanti e dall’educazione di Cesare. E per amore decise di abbandonare l’impiego che aveva a Milano, e di vivere nella piccola corte del marito. Si dedicò con tanta passione all’osteria, migliorando i servizi offerti: mentre prima era possibile soltanto bere, con l’arrivo della signora Adriana si realizzò un’eccellente cucina. Ancora oggi la signora Adriana è maestra nei risotti, e cucina divinamente anatra e cassoeula, il cui segreto è quello di sgrassarla bene, altrimenti non si potrebbe digerire, e condirla con buone verze e polenta. Ma l’osteria è stata per lei, prima di tutto, il cuore della frazione, dove accogliere gli abitanti e condividere con tutti un pensiero, un sostegno, un momento di svago. A fianco a questa attività perdura tutt’ora la storica posteria, seguita dal signor Cesare .

NUOVE GENERAZIONI

Cesare e Adriana Beltrametti hanno avuto quattro figli: Severino, Maurizio, Chiara, Loredana. Il primo è un manager dell’azienda San Carlo, specialista nella produzione delle patatine, e malgrado i molti impegni riesce a seguire anche i terreni dell’azienda agricola. Maurizio lavora presso la ditta Ever di San Grato; Chiara è insegnante alla scuola diocesana di Lodi; ma se ambedue trovano momenti liberi danno volentieri una mano in cucina, così da confermare le tradizioni e le genuinità dell’antica Osteria del Pozzo di Modignano. infine, Loredana, sposata con Dino Livrieri: la coppia ha due figli, Filippo e Martina. E, nella piccola stalletta, sita sul retro degli esercizi pubblici, vi sono ancora una manzetta e una bovina a rinsaldare il legame con il mondo agricolo di una volta.Il tempo è stato rapido per tanti dei Beltrametti, forse persino troppo veloce: ma nulla si è smarrito, e il ricordo di ciascuno, ancora oggi, è più che mai forte.

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