Rubriche/Cascine
Domenica 04 Novembre 2012
I misteri e le armonie di Villambrera
Nelle campagne di Paullo una magnifica villa carica di storia
Per quanto mi avessero detto che fosse una realtà incantevole, resto sinceramente ammirato dalla bellezza della cascina Villambrera, sita nei pressi di Paullo. Occhieggio al tratto d’acqua della Muzza, mi lascio irretire dai filari dei pioppi cipressini che conducono nel cuore della corte, e infine ammutolisco davanti al gioco misterioso delle fronde dei salici piangenti: viene voglia di nascondersi, proporsi eremiti, perdersi nel bosco degli incantesimi, sparire e apparire come i folletti.
Uno strano luogoStrano luogo questo di Villambrera: seducente e misterioso, storico e un tempo tragico. Di certo c’è - come scritto nel bellissimo libro di Antonio Agnesi dal titolo Paullo ieri - che a Villambrera vi era già un insediamento sin da epoca romana, quando imperava Gneo Pompeo Strabone. Sempre nel passato questa corte aveva altra denominazione: Villa Mellaria, pare per l’abbondanza di miele che qui si produceva.All’inizio del XIV secolo - racconta sempre Antonio Agnesi - la possessione apparteneva ai Vistarini. Qui ebbe inizio una fase di tragedie oscure: il terribile Tremacoldo, cancelliere di questa nobile famiglia, per motivi d’interesse ammazzò due dei fratelli Vistarini, rinchiudendoli in un armadio - custodito nella cantina della casa padronale di Villambrera - e lasciandoli morire di fame e d’asfissia. Nessuno ha mai sostenuto che i fantasmi di Duccio e Giacomo Vistarini abbiano cominciato ad ululare per corte, ma il fatto che fossero morti in quel modo, nella dimora famigliare, crea ancora un brivido lungo la schiena ai proprietari attuali della corte. Dopo l’omicidio, lo sciagurato Tremacoldo (o Temacoldo, come riportato in altri documenti), divenuto pure signore di Lodi, prese a spadroneggiare alla cascina Villambrera, di cui s’impadronì.Nel 1340 Tremacoldo vendette suddetto bene a tale Anselmo. Anch’egli, indirettamente e pur non volendolo, fu causa di un altro omicidio legato in qualche modo alla cascina Villambrera: nel suo testamento, infatti, dispose il lascito della corte a favore dell’Ospedale Maggiore di Lodi; il suo notaio di fiducia, Giovanni Basiano Fellati, modificò però radicalmente la disposizione, così che la volontà del defunto sembrasse legittimamente volta verso il Consorzio del Clero, anziché verso l’ente ospedaliero. Ma i legali dell’Ospedale Maggiore scoprirono il falso e ottennero che il notaio, traditore, venisse condannato alla pena capitale, e arso vivo nella piazza centrale di Lodi.Agli inizi del 1600 un altro fatto di cronaca nera scosse la serenità di Villambrera: il proprietario di quel tempo, tale Crivelli, fu condannato dalla giustizia per omicidio; la cascina gli fu sequestrata e se la aggiudicò, nel 1648, il conte Matteo Rosales. Ma anche su questo nobile pesò quella che appariva essere la maledizione di Villambrera: il conte finì in galera, accusato di essere un collaborazionista dell’esercito francese, avendolo avvantaggiato ed autorizzato a depredare gli abitanti dell’insediamento rurale. Il conte Rosales trascorse qualche anno in gattabuia, prima che il figlio ne riuscisse a dimostrare la totale innocenza. La riconquista della libertà non rasserenò lo spirito dei Morales, che non vedevano l’ora di disfarsi della Villambrera. Non era facile però vendere su due piedi una possessione così. L’affare fu concluso solo anni dopo, quando proprietari divennero i fratelli Bassi di Milano, la cui permanenza fu tuttavia breve; subentrò loro la famiglia De Vecchi, che mise qui ataviche radici, legando la propria storia alla Villambrera in modo indissolubile sino ai giorni nostri.
La famiglia de vecchiAd acquistare la cascina, con annessi terreni, fu Giuseppe De Vecchi, insieme ad un socio. I due però, partiti da premesse di lodevole ed imperitura sintonia, finirono quasi subito per litigare. Così, non potendo andare autonomamente da soli, il signor Giuseppe, liquidando il proprio socio, decise di vendere la cascina ad un suo cugino: Natale De Vecchi.Quest’ultimo, uomo della metà dell’Ottocento, era una persona vecchio stampo, con tratti quasi nobiliari, più portato alle letture che non al lavoro sui campi: s’era comunque diplomato in agraria e il lavoro agricolo lo conosceva molto bene. Teneva però ad una regola fondamentale: la cultura veniva ancora prima degli affari. Aveva così fatto studiare i propri figli, compreso Enea che divenne il nuovo proprietario della cascina Villambrera, e che fu pure un eccellente oculista.A differenza del padre, il dottore Enea De Vecchi destinò all’impegno agricolo solo la parte residuale del proprio tempo. Le altre attività principiali, quelle che veramente contarono nella sua vita, furono la professione medica e fare figli. Di rampolli ne ebbe cinque. E a ciascuno di loro impartì il precetto morale del patriarca: studiare è più importante che fare soldi. Così, Natale junior detto Lino divenne otorino, Achille oculista come il padre, Ferdinando si laureò in farmacia, Giovanni fu ingegnere ma era conosciuto da tutti per essere un infallibile cacciatore, e infine Giuseppe detto Pino indossò il camice di dentista.
Cinque fratelli unitiTutt’e cinque fratelli, che fra loro erano unitissimi e solidali, e bastava che uno avesse il pur minimo problema che gli altri si facessero in quattro per risolverglielo, ebbero a cuore le sorti della possessione di famiglia: così, nei week end, si riunivano lì, e per seguire con maggiore assiduità le vicende della Villambrera avevano escogitato il rito del giovedì: tutte le settimane, quel giorno si ritrovavano attorno al desco e discorrendo con il fattore, girando per la campagna, intervenendo laddove occorreva, mantenevano salda e visibile la propria conduzione. Per tutti parlava Pino, il dentista, poi il ruolo di “regiù” fu preso da Natale.Pino De Vecchi era un uomo simpaticissimo, amava intrattenere le relazioni sociali, e bastava che un rapporto nascesse per la più banale delle circostanze perché durasse per sempre; era un organizzatore di pranzi e cene, di rimpatriate con i compagni di scuola, persino quelli delle elementari, e con i colleghi medici. E aveva la dote di saper fiutare gli affari.C’è una bellissima foto dei cinque fratelli De Vecchi che i loro discendenti conservano: sono ritratti su una terrazza di legno, in una località di mare. Pur essendo in vacanza, sono tutti in abiti elegantissimi: tranne uno, che sorride a largo cuore, e forse è Pino; gli altri hanno un’espressione serena e ferma.Agli inizi del secolo Novecento alla cascina Villambrera abitavano 134 persone; all’interno della possessione si trovava pure un mulino, condotto autonomamente dalla famiglia Galli. Ma già nella seconda metà di quel secolo, come per la generalità delle aziende agricole, la cascina appariva spopolata. In quel periodo i De Vecchi, pur mantenendo per sè la casa padronale, preferirono affittare i terreni e i caseggiati rurali: affittuari furono i Papetti, gli Scorletti, e per ultimi i Crozzi. Nel 1967 i De Vecchi ripresero a condurre direttamente la possessione avvalendosi del fattore Andrea Groppelli, uomo burbero ed autoritario, che faceva rigare dritto i contadini, compresi i propri figli. Nel 1973 i fratelli De Vecchi affidarono la propria possessione ad un agente, Severino Pedrazzini, che oggi vive a Paullo. In cascina rimasero solo quattro famiglie: quelle dei trattoristi. La stalla invece, che fu gestita sino al 1970, era da sempre affittata ai malghesi: indimenticabile fu quella di un allevatore, che aveva cinque figli, di cui quattro femmine, e tutte le ragazze lavoravano in stalla, contente di un lavoro difficile e duro, ma che era l’identità della propria famiglia.
Una casa di campagnaDei fratelli De Vecchi, l’ultimo ad abitare in cascina fu Natale, l’otorino. Successivamente, per i discendenti la cascina divenne una sorta di casa di campagna, bellissima per trascorrervi i periodi estivi, ma isolata e troppo grande per starvi con continuità. La casa padronale ha mantenuto inalterata la propria struttura ottocentesca: coppi e tegole sono incantevoli sulle interminabili tettoie dei caseggiati rurali. La possessione vanta pure un oratorio, dedicato a San’Eusebio, risalente ai primi del 1600. Sembra che vi fosse una preesistente chiesetta, documentata già dal 1261. Ed è probabile che non fosse neppure quella primitiva, e che l’originaria fosse stata edificata nell’anno 972, quando qui vi era un insediamento dei monaci benedettini dell’Abbazia di San Pietro in Lodi Vecchio. L’oratorio è ancora consacrato, annualmente si celebra il Rosario. Su un portico del patio della casa padronale vi è un antico dipinto, raffigurante Maria Vergine incinta, circondata dagli angeli. A seguire oggi la tenuta agricola provvede Carlo De Vecchi, figlio di Pino. Carlo è laureato in Agraria e ha dunque competenze e capacità per compiere le scelte giuste, indirizzate attualmente verso l’indirizzo cerealicolo. Si coltivano mais, frumento, soia, tutte colture destinate all’alimentazione zootecnica, anche se parte della soia è rivolta all’industria alimentare, in particolare per latte e gelati, la cui produzione negli ultimi anni ha avuto un discreto aumento.La cascina è rimasta il luogo patrio di tutti i cugini De Vecchi, comproprietari della possessione: ogni fine settimana sono tanti quelli che fanno capolino per una rimpatriata, e fra le persone più assidue vi è Alessandra Secondi De Vecchi, che mi ha fatto da guida nel giro della corte.I terreni della Villambrera sono curatissimi e il giardino retrostante la casa padronale è un incanto: le piante sembrano crescere secondo un libero ed armonioso arbitrio, mentre sono coltivate con amore ed attenzione, in particolare le farnie, specie della quercia. Così, la cascina Villambrera mantiene la sua oasi di pace e d’incanti, e io fingo solo d’andar via, ma sono un folletto, e resto qui, ora dietro una farnia, ora fra i rami d’un salice piangente, ora abbarbicato sulla punta di un pioppo cipressino....
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