Toni è un tipo allegro, uno che mette un entusiasta ottimismo in quel che fa e che, con leggerezza, porta a casa i risultati. È stato un piacere ascoltarlo raccontarci, fra il coro degli amici, la sua storia. Partito piazzaiolo dalla Tunisia cinque anni fa, è oggi pizzaiolo nel Lodigiano. Prende più del doppio, è felice e se la situazione non cambia – perché dovrebbe? – il prossimo anno metterà su famiglia. Salve ragazzi, disturbo? Vorrei conoscere la storia di uno di voi, per Il Cittadino.
«Aspetta, aspetta che esca quello buono. Sta chiamando casa. Appena finisce te la racconta lui, la sua storia».
Una delle vostre non va bene?
«L’uomo delle relazioni pubbliche è Toni. È lui che se ti ferma non smette più di parlare. Vedrai che torni a casa a mezzogiorno».
Toni?
«Il suo nome è un altro, ma qui lo conosciamo tutti come Toni».
Va bene, aspettiamo Toni. Poi però mi raccontate anche la vostra storia.
«Affare fatto. Eccolo».
Sei tu Toni? Mi han detto che la tua storia è perfetta per Il Cittadino.
T: «Noto con piacere che a mia insaputa sono diventato famoso. Cosa vuoi da me?».
Voglio la tua storia. Che ne dici?
T: «Va bene. Guarda che poi vado a leggerla».
Perfetto.
T: «Allora iniziamo?».
A dire il vero avremmo già iniziato, sempre a tua insaputa. Da dove vieni, Toni? Ma poi perché Toni?
T: «Ecco, partiamo con le domande facili che è meglio. Sono tunisino, vengo dalla costa, una bella città sul Mediterraneo. La conosci Nabeul?».
Guarda, a dire il vero credo di esserci stata qualche anno fa, ma ho un ricordo vago.
T: «Ci conoscono tutti per le ceramiche».
Ho capito, adesso ricordo perfettamente. Appesi in cucina ho anche un paio di piatti della tua città. Ma purtroppo ricordo solo le ceramiche.
T: «Male, molto male. Nabeul è meravigliosa. Il mare è blu cobalto, il clima piacevolissimo, il paesaggio incantevole. È una città bellissima in cui vivere. Il lavoro scarseggia, ma devo riconoscere che rispetto ad altre zone del mio Paese non ci possiamo lamentare. Qualcosa da fare, nel bene o nel male, lo trovi».
Nel bene o nel male?
T: «Ma sì, intendo dire pagato bene o male. Il lavoro in qualche modo c’è, poi magari lo stipendio è una miseria, ma c’è».
Tu lavoravi?
T: «Certo, ed è stato il mio passaporto per l’Italia. Io lavoravo in un villaggio turistico, facevo il pizzaiolo. Il mio maestro era italiano e io “ho imparato” l’arte, come dite voi. Ho fatto il pizzaiolo a Nabeul per cinque anni, poi mi sono trasferito qui».
E adesso?
T: «Adesso faccio il pizzaiolo qui in Italia. Sono pizzaiolo nell’anima».
Ascolta, ma quindi Toni …
T: «Toni perché tutti gli italiani al villaggio mi chiamavano così. Da allora io sono il pizzaiolo Toni».
Sembra un film.
T: «In realtà è tutto molto semplice: ho un nome impronunciabile per un italiano».
Ossia? Perfetto, non saprei nemmeno come scriverlo.
T: «Visto. Tutte le volte che ho cercato di farlo memorizzare è stato non solo un fiasco, ma una barzelletta. Alla fine ho desistito: il mio nome non funziona? Allora lo cambio. Sono una persona molto pratica. Dai tempi delle pizze a Nabeul, io sono Toni».
Non dirmi come Tony Manero della Febbre del sabato sera.
T: «No, Toni come Antonio, il primo nome italiano che mi è venuto in mente davanti all’ennesima espressione incredula quando ho pronunciato il mio vero nome. Come ti chiami? Toni. Facile, no?».
Perché hai lasciato la Tunisia? Avevi un lavoro, no?
T: «Io sono giovane, ho trent’anni».
«Eri giovane, dilla giusta».
T: «Va bene, non più giovanissimo, ma state zitti e fatemi andare avanti».
I tuoi amici sono un po’ indisciplinati.
T: «Sono fatti così. Comunque, dicevo, sono giovane e cinque anni fa lo ero ancora di più, ovviamente. Cosa avevo da perdere? Niente. Conoscevo il mio mestiere, sapevo che qui i pizzaioli sono ben pagati, dovevo solo tentare. Arrivo in Italia con uno zainetto, forse nemmeno io mi aspettavo di fermarmi tanto a lungo. Vado a stare da un amico e, con tuttocittà sottobraccio e una lista di indirizzi presi dalle pagine gialle, incomincio a fare il giro di tutte le pizzerie del Lodigiano. Ma proprio tutte».
Sei un tipo determinato.
T: «Io volevo solo provare. Non avevo grandi aspettative».
Ma perché proprio Lodi?
T: «Per via del mio amico, che però fa tutt’altro: l’imbianchino. Comunque, a un certo punto trovo un tizio che mi guarda dall’alto al basso e mi dice: “Io prima devo provare”. Gli faccio una pizza e noto che mentre la mangia ha un’espressione convinta. “Vai Toni”, mi dico. Questo mi prende in prova per un mese – è uno che si fida poco, vuole provare, come lui stesso ammette – e poi ancora per sei. Alla fine il lavoro è mio. E chi torna a casa? Qui prendo più del doppio, ma non ditelo al mio capo».
Effettivamente, perché tornare?
T: «Guarda, per dirla tutta avrei mille motivi per tornare: il mare, il clima, la mia città e soprattutto».
«Ha la ragazza che lo aspetta».
T: «Sì, ma sono giovane, ho tutta la vita per guardare il mare. E la ragazza magari viene qui, se la situazione non cambia. Insomma, la mia idea è tenere duro finché resisto. Anche se poi in fondo non è proprio tenere duro, qui sto bene».
Si vede che sei contento.
T: «Non mi manca nulla e soprattutto non ho fatto fatica a inserirmi, trovare un lavoro, avere una casa».
«Lui sì che è fortunato».
Hai progetti per il futuro?
T: «Dovrei sposarmi il prossimo anno e mettere su famiglia. Chiederò il ricongiungimento e andrò avanti a fare il pizzaiolo. A me piace fare le pizze».
E poi?
T: «E poi chi lo sa? In fondo nemmeno mi interessa. Sto bene così e vado avanti».
Grazie, Toni.
«Ma adesso voglio raccontare anch’io la mia storia».
Va bene. Avevate ragione, vado a casa davvero a mezzogiorno. Allora, incominciamo, da dove vieni?
© RIPRODUZIONE RISERVATA