Precipita da una finestra della comunità

Incidente nella struttura di via Mosè Bianchi

Per aprire le persiane si sporge un po’ troppo in avanti e precipita nel vuoto. Ieri mattina alla comunità protetta di via Mosè Bianchi (che fa parte del dipartimento di salute mentale dell’Ao) si è sfiorata una nuova tragedia. Nell’ottobre scorso, infatti, aveva già perso la vita una ragazza di 19 anni che si era gettata dal secondo piano. Ieri mattina, a terra, è rimasto un ragazzo di 30 anni, residente nel Lodigiano, in cura presso il centro. Ha strisciato contro il muro esterno e dopo un volo di circa quattro metri è atterrato con le mani in avanti, rompendosi i polsi e picchiando la testa sul marciapiede che costeggia tutto l’edificio.

È stato subito soccorso e portato dal “118” di Lodi all’ospedale San Matteo di Pavia con l’automedica, in prognosi riservata, perché si temeva che avesse delle fratture interne. Ma già a metà pomeriggio i medici della rianimazione hanno scongiurato qualsiasi complicazione e hanno giudicato il giovane “fuori pericolo di vita”.

È stato lui stesso, subito dopo la caduta, a dire quello che era successo. «Sono scivolato», ha detto ai soccorritori, in uno stato di minima coscienza. Il fatto: attorno alle 11 si trovava nella sua camera, al primo piano dell’edificio; si era fatto la doccia e aveva messo tutto in ordine, poi era andato alla finestra: c’era vento, e così voleva fissare le due ante delle persiane con gli “ometti” che ci sono sulla parete esterna, ma per farlo si è sporto troppo ed è scivolato in avanti. Forse si è anche distratto, perché in quel momento qualcuno ha suonato al citofono per entrare in comunità e lui potrebbe essersi girato a guardare.

Un episodio ben diverso quindi da quello dello scorso ottobre, quando la 19enne si era gettata volontariamente dal secondo piano. Anche per questo non è stato necessario l’intervento di polizia o carabinieri.

«È stato un incidente - conferma il dottor Eligio Gatti, capodipartimento della psichiatria dell’Azienda ospedaliera di Lodi -, ci sono segni inequivocabili che lo dimostrano. In ogni caso ho parlato con il rianimatore del San Matteo e mi ha detto che il giovane è fuori pericolo». Poi, sul tema della sicurezza in comunità, Gatti ribadisce un concetto già espresso in occasione anche della tragedia di ottobre: «Il nostro è un centro di riabilitazione, non una prigione, e non possiamo mettere le sbarre alle finestre».

Davide Cagnola

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