«Non fidiamoci dell’immunità di gregge»

II primario del Pronto soccorso di Lodi Stefano Paglia: «Ho chiuso la fase 1 il 14 agosto con le vacanze: non potevo più lavorare così, dovevo fare un reset»

I malati sono in aumento, «se fosse stato per me, avrei chiuso le attività alle 21, non alle 23». A parlare è il primario del pronto soccorso di Lodi Stefano Paglia. Ogni giorno in pronto soccorso, a Lodi, arrivano tra i 10 e i 20 malati e qualche giorno fa un paziente del Paullese è finito in terapia intensiva. Non è l’unico: già altri malati sono finiti in rianimazione.

Come stanno andando i casi?

«Aumentano i malati, con vari quadri, anche i lodigiani. Nella maggior parte dei casi i pazienti hanno sintomi lievi e moderati, anche critici. Adesso riaprono gli ambulatori covid. La malattia, a Lodi, è ripartita».

Lo scenario è quello dello scorso inverno?

«Siamo lontanissimi dallo scenario di febbraio, marzo e aprile, a Lodi. Adesso è Milano ad essere come Lodi a febbraio».

Il sindaco Sala ha detto che a Bergamo e Brescia ci sono meno casi perché ormai c’è una sorta di “immunità di gregge” in quelle province. È vero? Vale anche per Lodi?

«Non credo ci siano elementi scientifici per parlare di immunità di gregge. Quello che succede, oggettivamente, lo vediamo solo sulla mappa. La malattia si è spostata nelle aree prima toccate solo marginalmente. Il fatto che a Lodi, in questo momento, ci siano malati meno gravi non deve essere un alibi per ridurre le misure di contenimento. Gli atteggiamenti responsabili sono la chiave per ridurre la pandemia».

A Lodi stiamo sbagliando qualcosa?

«È il momento per capire che ci si deve rivolgere alle strutture sanitarie in modo corretto. Questo non è il momento delle proteste. Non bisogna ritardare l’accesso in pronto soccorso se si hanno i sintomi, ma in pronto soccorso non si viene solo per la paura di avere il covid, senza i sintomi. Se uno non ha i sintomi si deve rivolgere al suo medico di famiglia, così come per tutte le altre patologie minori. Bisogna dire addio al consumismo sanitario. In pronto soccorso, in piena pandemia covid, non si viene senza un motivo serio. Dobbiamo rivedere le priorità e usare il buon senso. Per assurdo ci sono le persone che hanno un dolore toracico e restano a casa e quelle che hanno un dito che gli fa male e vengono in pronto soccorso».

Siete preoccupati?

«La situazione è impegnativa, la Regione sta impostando una vera e propria “chiamata alle armi”. Ci sono persone che, in Regione, stanno lavorando tantissimo per cercare di contenere la situazione. I contatti con Marco Salmoiraghi e Marco Trivelli sono praticamente quotidiani»:

Ai lodigiani che sanno cos’è una pandemia da covid cosa dice?

«Di avere il sangue freddo e usare il buon senso. I lodigiani sono stati i primi ad adottare le misure di contenimento. L’appello è ad usare la testa. Milano ha milioni di abitanti».

Stanno già arrivando i pazienti da Milano?

«Li stiamo già ricoverando. Facciamo il nostro dovere per aiutare tutti. Gli ospedali, lo dico, non sono enti privati, ma strutture a disposizione di tutti. Il sistema per la rete di emergenza continua a tenere. Le criticità non mancano, ma la situazione è in continua evoluzione».

I lavori per ampliare il pronto soccorso di Lodi?

«Stanno andando avanti. Prima di Natale sarà pronta l’area centrale con 6 letti dotati di ossigeno. La nuova Osservazione breve è già in uso. Abbiamo aperto anche i due reparti covid, a Lodi, con la dottoressa Sara Martinenghi e a Codogno con il dottor Francesco Tursi».

Le persone si lamentano perché le visite vengono rinviate e le altre malattie ritardate

«Le persone che parlano così si renderanno conto di cosa sia una pandemia covid nelle prossime settimane. Se le persone sono responsabili la sanità farà fronte al covid e al resto, altrimenti non riusciremo a far fronte neanche al covid. Spero che le persone capiscano con cosa abbiamo a che fare. Se si capisce ciò che è e non è essenziale, c’è spazio anche per curare i malati oncologici, se c’è l’assalto alla diligenza non si può. Continuando a far finta che il covid non ci sia non si potrà più garantire l’essenziale. Stiamo per affrontare una catastrofe».

La medicina del territorio funziona?

«Sta facendo del suo meglio in funzione delle possibilità che ha».

Si aspettava una seconda ondata?

«Sì, me l’aspettavo, ma non così presto. Quello che è successo a Lodi è coerente con quello che mi aspettavo, mi ha sorpreso Milano, invece».

Dal punto di vista emotivo come la vive?

«È difficile per tutti quanti noi, per me per primo. Alla fine dell’estate abbiamo voluto credere e illuderci che fosse finita, anche se non abbiamo mai abbassato la sorveglianza, dal punto di vista tecnico. Non abbiamo mai avuto un momento senza nemmeno un paziente covid. Dal punto di vista personale non è facile, ma è il nostro mestiere, quindi lo facciamo».

Non ha mai più dormito in reparto come a febbraio?

«Spero di non farlo più e credo che non sarà necessario, dal punto di vista del modello organizzativo. Per quanto riguarda la malattia, è sempre la stessa, non è cambiata».

Avete usato il servizio di counseling dell’Asst, state continuando in Pronto soccorso?

«È stato indispensabile, l’ho usato anch’io, con ritorni molto positivi. Le psicoterapeute sono state di grande aiuto. Al momento il servizio è sospeso, ma immagino che ragioneremo sulla ripresa».

Adesso quanti pazienti covid avete al giorno?

«Dai 10 ai 20, la grande maggioranza dimessa con lo Zcare telecovid, alcuni trasferiti in reparto, ma la situazione è in continua evoluzione. Appena aprono i letti nei reparti vengono occupati».

Lei è primario, ha vissuto esperienze molto forti, ora come sta?

«Dopo 8 mesi si trova un certo equilibrio. Io ho chiuso la fase uno il 14 agosto quando sono andato in vacanza. Da lì ho impostato la mia ripartenza. Non potevo più lavorare senza fare un reset. Adesso lo scenario è cambiato, ma lo stiamo gestendo con serenità. Bisognerà imparare a convivere con il covid. Non dobbiamo dimenticarci che il covid presenta il conto 14 giorni dopo quello che abbiamo fatto noi. Gli atteggiamenti, ribadisco, fanno la differenza».

È stato giusto chiudere le scuole?

«Giustissimo, anche il coprifuoco. Io l’avrei fatto dalle 21, non dalle 23. A nessuno sfugge il sacrificio economico, ma ha un beneficio. Gli atteggiamenti sconsiderati hanno conseguenze peggiori».

Adesso abbiamo una terapia per il covid che prima non avevamo...

«Secondo me c’è una eccessiva enfasi sugli aspetti terapeutici. Una reale terapia antivirale per il covid ad oggi non esiste. L’antivirale usato adesso riduce di 5 giorni la degenza in terapia intensiva. Abbiamo, invece, tante informazioni in più e sappiamo gestire meglio i pazienti critici. Non abbiamo una cura, non dobbiamo abbassare la guardia. Abbiamo solo dei farmaci che riducono la mortalità. Potendo è meglio non contagiarsi. Se qualcuno ha enfatizzato il discorso della cura per fare quello che vuole, sbaglia. Continua a essere opportuno non prendere la malattia. Ai giovani che pensano che il covid sia un’influenza consiglio di parlare, via social, con i loro coetanei, non con quelli che hanno avuto il tampone positivo, ma con quelli che si sono ammalati».

Il covid resta una malattia grave...

«Ebola ha una mortalità del 40 per cento, il covid del 2, ma si diffonde moltissimo. Se calcoliamo il 2 per cento su 40mila abitanti...».

È vero che l’aggressività della malattia dipende dalla quantità di virus in circolazione?

«È ancora poco chiaro. Ci sono asintomatici con tanto virus. La malattia nasce dalla relazione tra il patogene e l’ospite. Ancora oggi sono molte le cose che non sappiamo della malattia. Non dimentichiamoci che la conosciamo da 8 mesi. Non ci sono certezze assolute. Dobbiamo farcene una ragione».

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