Stassi, la vita dai mille volti di Soledad

Una vita, in un mosaico di voci che si raccordano in una sola, quella della protagonista, la voce che canta in quest’ultimo libro di Fabio Stassi: una narrazione corale e insieme singolare, che attraversa tempi e luoghi, che coinvolge, incanta, turba, entra dentro. Eppure quella voce è avvolta dal silenzio, dalla solitudine, la stessa evocata dal suo nome: Soledad. Il libro ha una struttura multipla, a incastro: dentro la storia della donna raccontata dagli altri - ciascuno col proprio modo di vederla, di sentirla - si inserisce il suo racconto personale, il punto di vista più intimo. Incontriamo

Soledad, detta Sole, giovanissima, nella Roma degli anni ‘70, attraverso le parole di Matteo, giovane anche lui, contrabbassista. Tutto inizia in una serata al Folkstudio: è lei il canarino portentoso, la cantante scalza che accompagna il gruppo dei musicisti, con cui condividerà anche l’impegno politico, spingendosi oltre la sua città, la sua Trastevere, incontrando altri compagni, manifestando, vivendo quegli anni che scorrono densi e straordinari tra Roma, Palermo, Trapani. Ma senza mai incidere un disco, perché niente di lei può essere catturato. Nemmeno il suo corpo, minuto e seducente, che si concede senza darsi. Poi gli anni ‘80, e l’occasione perduta di una diretta Rai, che Sole decide di non cogliere, fuggendo via dallo studio, proprio quando è il suo momento. E il racconto-mosaico della sua vita avanza, snocciola il tempo in un susseguirsi di voci che radunano prove, sguardi, incontri, sensazioni, fallimenti, assenze; fino al 2011, quando spetta ancora a Matteo, che ha dato inizio alla storia, dare voce al suo finale. Tutti coloro che la raccontano, nel corso di una vita, sono troppo distanti da lei, troppo diversi tra loro per inanellare in un solo registro gli anni, le imprese musicali, gli amori non consumati, le amicizie profonde eppure insufficienti. Sono voci come immagini: alcune nitide, vicine, colorate; altre in bianco e nero, lontane nel tempo e nell’anima; altre ancora così sgranate, che i particolari prendono corpo più dell’insieme. E sui diversi registri la scrittura si fa appassionata, formata, matura: risuona di note sudamericane, e insieme si spezza, divaga, come in una variazione jazz.Quando è Sole che racconta, il registro è quello di un diario, ma con una cronologia tutta sua, emotiva e lucida al tempo stesso, in cui passano luoghi, tempi, persone. La casa di Trastevere, la famiglia numerosa che ha le origini più disparate (Tunisia, Sicilia, Argentina), dove tra linguaggi arcani, silenzi, amarezze e allegria si colorano i suoi anni. Dagli episodi della prima giovinezza, ai personaggi che hanno in qualche modo segnato o accompagnato la sua voglia di cantare, l’unica cosa che Sole vuole fare veramente nella vita. Sono figure dipinte nei dettagli e insieme apparizioni lontane, quasi mitiche che irrompono via via nelle pagine del suo diario. Sole tocca ricordi lontanissimi con mano lieve o con punte di intimità profonda, che emerge al capezzale di chi sta per lasciarla (sua madre, suo padre); Sole dipinge sensazioni e «canta delle note che prima di lei nessuno vedeva».Sempre, però, pur circondata da altre voci, ora silenziose, ora rumorose, ora parlanti o musicanti, quella di Soledad si chiude in un assolo impenetrabile. Che è quasi impossibile afferrare, se non leggendo il libro, trasversalmente, come un incrocio di testimonianze, di punti di vista diversi e appassionati; fino a quello della protagonista stessa, scritto in una «scia solitaria di pena», il verso della canzone che si fa poesia e che accompagna il finale della storia.

Fabio Stassi Come un respiro interrottoSellerio, Palermo 2014pp. 31016 euro

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