La “crianza” è l’ultimo boccone che i bambini solitamente lasciano nel piatto, suscitando parole di biasimo in chi è preposto al loro accudimento e una lunga, inarrestabile teoria di paragoni con altri bambini che soffrono e patiscono la fame. “Crianza” è però anche la “creatura”, il bambino stesso. I piccoli protagonisti del romanzo di Giovanni Greco - attore, regista traduttore, premio Italo Calvino nel 2011 - sono la cattiva coscienza degli adulti, le vittime della loro malacreanza e il punto cieco della loro responsabilità. Nelle fogne di San Pietroburgo o nelle favelas brasiliane battute palmo a palmo dagli squadroni della morte, i «minori non accompagnati» - come li chiama la lingua burocratica dei servizi sociali e dell’amministrazione del disagio - sono coinvolti in microstorie d’orrore e di pietà, dove i nomi, le identità, i corpi negati dei bambini si confondono gli uni con gli altri, tracciando il ritratto d’una infanzia in vario modo abusata e d’un unico grande crimine perpetrato a danno dell’essere umano. Oltre a predisporre un intrico labirintico di brevi trame tra loro intrecciate, Greco lavora di cesello sul linguaggio - è questo il pregio letterario vero e proprio del libro - per proporre al lettore la percezione, distorta e insieme incantata, che un bambino forzato dalla circostanze a divenire presto adulto, potrebbe avere del mondo violento in cui vive. Una lingua mimetica dei fatti, dunque, spesso in prima persona, capace di rispecchiare la comprensione sgrammaticata di vicende che non hanno nulla di regolare, di rassicurante, e che anzi si accaniscono proprio sulla facoltà di parola della vittima, sulla possibilità che essa testimoni l’irraccontabile.
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GIOVANNI GRECO, Malacrianza, Nutrimenti Edizioni, Roma 2012, pp. 267, 18 euro
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