Gioco d’azzardo, un business senza vincitori

Maria Cristina Perilli, psicoterapeuta e sessuologa, dirigente in un Servizio Territoriale (Sert) per le dipendenze, traccia un quadro completo del mondo dell’azzardo: dopo avere fornito interessanti cenni storici su forme di azzardo a partire dal 4000 avanti Cristo, focalizza l’evoluzione avvenuta nel settore dal 1990 a oggi, soprattutto dopo l’avvento della possibilità di giocare on line. All’autrice - che è membro di associazioni quali Libera ed è attivista della campagna nazionale “Mettiamoci in gioco” per prevenire il rischio di dipendenza - interessa soprattutto mettere al centro della propria ricerca il grave problema del gioco d’azzardo patologico: prevenzione, diagnosi, cura, categorie maggiormente a rischio di dipendenza patologica, costi sociali.Il fatturato del gioco d’azzardo ha conosciuto una crescita abnorme nell’ultimo decennio: 25 miliardi di euro nel 2004 e circa 90 miliardi di euro nel 2014: ogni italiano avrebbe quindi speso in media 1.500 euro all’anno. Siamo lo Stato che gioca di più in Europa e il quarto nel mondo dopo Usa, Cina e Giappone. Abbiamo il record mondiale di vendite di Gratta e Vinci. La più alta percentuale di denaro speso per il gioco d’azzardo in Italia va a slot-machine (30%) e Video Lottery (26%). Gli italiani spendono cifre enormi per giocare d’azzardo, mentre la loro economia è in declino: un Paese che stenta a potenziare gli investimenti nel lavoro, nell’istruzione, nella cultura, sperpera nell’alienante gioco d’azzardo, che può portare nel tunnel della dipendenza patologica. Un aumento così enorme è spiegabile con l’illusione di guadagno di milioni di cittadini colpiti dalla crisi economica, ma anche con il miraggio dello Stato di accrescere le entrate fiscali per contenere il proprio deficit o finanziare emergenze improvvise (terremoto dell’Aquila). Si tratta di un calcolo miope, da parte dello Stato, in quanto i costi sociali delle centinaia di migliaia di giocatori patologici che devono ricorrere alle cure dei SerT eguaglia il “bottino” fiscale del ministero delle Finanze. L’exploit del gioco d’azzardo è drogato dal marketing aggressivo messo in campo dalle società concessionarie del gioco: un’incessante offerta di prodotti nuovi e attraenti, un massiccio investimento di denaro per promuovere le nuove offerte, campagne pubblicitarie persuasive ed invadenti. Nel 2013 sono stati spesi nella pubblicità diretta del gioco d’azzardo 105 milioni di euro (prevalentemente in televisione e sul web); in sponsorizzazioni altri 87 milioni.Il saggio dell’autrice affronta infine il tema delle mafie in rapporto al gioco d’azzardo: dalla fine degli anni Ottanta la mafia si è gettata nel business delle bische clandestine, dove si gioca al totonero, al lotto clandestino, alle scommesse su corse clandestine di auto e cavalli e su combattimenti tra animali. Ma in anni recenti le cosche mafiose, pur continuando a organizzare il gioco d’azzardo illegale, hanno deciso di penetrare nel mercato legale del gioco d’azzardo, diventando così una sorta di concessionario occulto. Il gioco d’azzardo è usato dalle mafie innanzitutto come canale di riciclaggio del denaro sporco. Un interrogativo aleggia sull’intero saggio: che senso abbia che lo Stato incentivi un “business” che, sebbene rimpingua le entrate fiscali, causa dipendenza patologica in molte persone, stravolge il loro tessuto relazionale, produce sofferenza alle loro famiglie.

Maria Cristina Perilli, Giocati dall’azzardo. Mafie, illusioni e nuove povertà Sensibili alle foglie, Roma 2015, pp. 220, 16 euro

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