Dentro la testa di un mostro

Ecco una storia di quella violenza famigliare che troviamo così spesso sulle pagine dei giornali, ma che riesce a staccarsi dalla cronaca per farsi percorso esemplare e chiudersi con un’apertura alla speranza, nonostante tutto, nonostante i sentimenti ostili che suscita e grazie a una sofferta, dura presa di coscienza. C’é un uomo infatti, Franco Guerri, che racconta in prima persona e, autodefinendosi «il mostro», cerca nei modi più impensati e indiretti, sfruttando pure quel che gli permette il mondo moderno e il web, di entrare in contatto con la figlia Caterina, che è al liceo e che lui non vede e non sente da una decina d’anni. Tra l’altro pare la bambina sia abbastanza disadattata, tanto da avere diritto a una insegnante di sostegno che l’uomo prova a intercettare senza farsi riconoscere. Dall’altra parte ci sono infatti degli zii pieni di soldi e senza figli che pensano con quelli di risolvere qualsiasi problema, compresi quelli della ragazza. Il romanzo, con i suoi risvolti neri e alcune pagine, pochissime, anche cruente, è il racconto di questa ricerca, alternato con una serie di flashback in cui viene presentata la vita come era prima di quei dieci anni che Guerri ha passato su un’isola, tanto che ormai il mare e l’isola sono un suo incubo notturno, per far fronte al quale deve ricorrere a gocce di litio, che cerca di non prendere o di ridurre al minimo, correndo poi disperatamente a cercarle nei momenti di crisi. Guerri era un uomo di successo, rappresentante e procacciatore di affari per una grossa azienda tipografica in Toscana, che si racconta in prima persona, da quando riuscì, grazie anche a uno stratagemma, a sposare la più bella della classe, Elisa Domini, apparentemente però non la

più intelligente e da cui ha una bambina meravigliosa, per poi comprarsi una villetta e fare una vita da famiglia del Mulino Bianco. E ancora da quando fa fuori il suo collega anziano, non facendosi remore a mettendo in piazza la sua vita privata, per venir promosso, a quando Elisa decide di voler lavorare e comincia ad aiutare la campagna elettorale di un’amica di famiglia e a scoprire «la vita» fuori delle mura domestiche e delle cene aziendali. A questo punto, dire di più, di un romanzo che vale non per la sua suspence, ma che su quella anche è stato costruito, nel disvelarsi a poco a poco, sarebbe scorretto. Si tratta infatti di un romanzo ben scritto, che ha trovato la sua lingua giusta, molto ben costruito perché punta, prima che sulla vicenda tragica, sul rosa che diventa nero, sull’umanità del protagonista, sui sentimenti, gli sbandamenti, la forza di volontà, l’amore per la figlia a prescindere dal poterla rivedere, ma solo per ridarle fiducia e spingerla a reagire, a uscire allo scoperto. E il tramite, il grimaldello che riuscirà ad aprirgli quella porta sarà la letteratura, la lettura come scoperta e conoscenza, sarà il romanzo Cime tempestose, del cui protagonista Heathcliff prende il nome in rete per non farsi riconoscere e alla cui lettura convince la figlia.

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