LODI Fare scuola e farla bene per migliorare la società

Oggi gli studenti si muovono in una società che è sempre più espulsiva nei confronti delle diversità, serve un cambio di rotta

L’8 giugno è stato l’ultimo giorno di scuola per i bambini e i ragazzi delle scuole della Lombardia, ma la scuola non si ferma. In questi giorni si stanno ultimando gli esami di stato delle medie e oggi, con lo scritto d’italiano, è iniziato l’esame di maturità.

Della scuola si parla poco nello spazio pubblico, ma non è necessariamente un male. La scuola non ha bisogno di riflettori, se non per denunciare la perdita di credibilità che l’ammanta, la smemoratezza della politica sempre meno interessata alla formazione e all’accompagnamento delle giovani generazioni. Al massimo la scuola trova i suoi 15 minuti d’attenzione di fronte al fatto di cronaca eclatante.

Tutto questo potrebbe essere un’opportunità, seppur particolarissima, per alimentare il desiderio di scuola.Sembra quasi un ossimoro, avvicinare scuola a desiderio, eppure è in questa prospettiva che il tema scuola può tornare alla ribalta. Desiderio non sogno. Il desiderio è un termine che deriva dal latino e descrive una situazione in cui sono assenti le stelle ovvero il più classico dei punti di riferimento.

Il desiderio porta con sé un sentimento di ricerca appassionata come il desiderio di apprendere, di conoscere. Lo si legge nello sguardo dei bambini e dei ragazzi quando iniziano l’avventura scolastica e lo si vede anche diminuire, immalinconirsi. Ricordava don Lorenzo Milani, di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita, che «educare è un’avventura che richiede coraggio, passione e amore». Tutti elementi che si nutrono di desiderio: dal desiderio di apprendere al desiderio di trasmettere, di accompagnare, di insegnare.

È questa una buona lente per rileggere l’anno scolastico appena concluso? È bene interrogarsi sui desideri che ognuno di noi nutre, dagli operatori della scuola, agli alunni, alle famiglie? E cosa desidera la società civile e politica per la scuola?

Se indaghiamo con attenzione ci accorgiamo che abbiamo un segnalatore particolare che offre un termometro del nostro pensiero sulla scuola ed è quello del linguaggio, delle parole e delle semantiche che le accompagnano.

Quali sono le parole chiave e quelle rivelatrici di un pensiero intorno alla scuola? Alla scuola, seppur sbadatamente, si chiede molto: di far crescere, di far conoscere, di formare, d’ informare e, sempre più spesso, le si chiede di supplire o quanto meno di supportare le fragilità ora dei ragazzi, ora delle famiglie, ora della società.

Sempre don Milani ci ricordava che «non si può educare senza mettersi in gioco, senza accogliere l’altro nella sua diversità e senza lottare per la giustizia e l’uguaglianza».

In un mondo sempre meno inclusivo, sempre più impegnato a rimarcare le differenze e le distanze, sempre più repulsivo alle diversità, la scuola rischia essere il bastione di pensieri che nella società sono derisi e marginalizzati.

La scuola deve educare alla pace, proteggere dalla violenza, essere baluardo di civiltà, ma si trova a operare in un mondo che utilizza quotidianamente il linguaggio della competizione e del suo parossismo, del litigio e della sua spettacolarizzazione come modalità principe di confronto, della violenza minacciata e agita, della mercificazione del corpo e del tempo.

«La scuola» ha scritto con lucidità un insegnante «opera in un contesto politico in cui si preferisce investire risorse nelle armi e nella guerra piuttosto che nei servizi e nella solidarietà sociale».

L’orizzonte sembra mostrare tinte fosche, ma è in questo orizzonte che dobbiamo ritrovare le motivazioni della scuola, i desideri che la animano.

La scuola deve chiedere aiuto. È un gesto di libertà, chiedere aiuto.

Aiutami società, aiutami adulto a scoprire il bello che mi rende felice, ad apprezzare conoscenza e a costruirmi competenza. Aiutami ad alimentare il desiderio di apprendere, di conoscere con passione, di scoprire. Aiutami ad acquisire abilità che mi servano per vivere e vivere bene: leggere, scrivere, contare, argomentare, scoprire, dialogare, sorridere, voler bene.

Aiutami a scoprire una passione, ad alimentarla.

Aiutami a discutere, confrontarmi, persino a litigare senza offendere e lasciando spiragli di riconciliazione. Scopriremo che in alcune di queste dimensioni i ragazzi sono ben attrezzati, hanno già intuito il senso del percorso e chiedono agli adulti di accompagnarli.

Proviamo a chiedere ai nostri ragazzi: cosa ti ha appassionato quest’anno? La giustizia, la pace, il gioco, lo studio, la poesia, la musica, il calcio. E poi partiamo da lì per un nuovo patto tra generazioni, illuminato dall’articolo 3 della nostra bella carta costituzionale: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». L’esplicito riferimento ai “lavoratori” va compreso in senso estensivo, alla luce di quanto viene detto nel successivo art. 4, dove per “lavoratore” s’intende ogni cittadino che svolga o abbia svolto: «un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società».

Fare scuola e farla bene è concorrere al progresso materiale e spirituale della nostra società.

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