LAVORO «Imprese ingessate con i giovani»

Il direttore di Fondazione Adapt, Matteo Colombo: servono modelli meno verticistici, l’innovazione muove in orizzontale

In meteorologia il ciclone è una perturbazione atmosferica con venti ad altissima velocità. In base alla sua potenza, dove atterra può provocare confusione o anche danni. Nell’economia del lavoro un fenomeno simile si è abbattuto da alcuni anni sulle aziende che, ancora oggi, faticano a stilare delle previsioni attendibili su una possibile schiarita. I danni sono lì da vedere: posti di lavoro da coprire ma selezione di nuove leve sempre più complicata oppure giovani assunti e poi volati via nell’arco di due anni.

Il posto fisso è da «boomer»

È il ciclone «Z», il più imprevedibile che il mondo del lavoro abbia fin qui subito: è la generazione dei giovani nati a cavallo del nuovo secolo, tra il 1995 e il 2010. Quelli che il posto fisso è roba da boomer. Che l’azienda la cercano su Instagram: se lì non c’è, per loro non esiste. E che al colloquio ti spiazzano così: lo stipendio ci sta, ma prima parliamo di smart working e di tempi flessibili.

Una distanza colmabile

I due mondi fanno fatica a incontrarsi, ma la distanza è colmabile. Non c’è una via semplice, ma allo stesso tempo non c’è neanche una via sbarrata. Per far luce su questo percorso, che vede le aziende protagoniste, è nato Delta Index, un osservatorio promosso dal gruppo Sesaab in collaborazione con Il Cittadino di Lodi e altri editori locali della Lombardia che può contare sulla consulenza di Adapt, realtà specializzata nel mondo del lavoro fondata da Marco Biagi nel 2000. Delta Index ha creato un questionario basato sui dati raccolti grazie alla partecipazione diretta delle imprese e sistematizzati da Adapt, che fotografa il rapporto tra aziende e nuove generazioni. «Un rapporto reso problematico da un contesto economico, sociale, culturale che ha delle caratteristiche uniche - sottolinea Matteo Colombo, direttore della Fondazione Adapt -. In questo fenomeno, un primo punto da tenere in considerazione è il calo demografico, che sta cominciando a dare i suoi effetti in termini di oggettiva scarsità delle persone da ingaggiare in determinati profili. Un secondo punto, è che rispetto al passato siamo in presenza di un’innovazione che corre molto veloce e che chiederebbe anche sistemi formativi in grado di adattarsi. Penso all’intelligenza artificiale...».

Le piccole imprese

A ciò si aggiunge anche un tema importante di linguaggi e di dimensioni aziendali. L’Italia è infatti caratterizzata da un tessuto di imprese piccolissime. «Finora - aggiunge Colombo - si sono spesso caratterizzate, anche nell’attrazione dei talenti, per una logica molto standard. Ma oggi questo tipo di offerta si scontra sempre di più con quello che i giovani vogliono: non semplicemente il posto fisso, ma la possibilità di entrare in un contesto dinamico dove si apprende, dove ci sono certi tipi di servizi, anche in termini di conciliazione tra vita, lavoro, tempo per sé, smart working».

Il rapporto tra senior e junior

Quindi a fronte di questo problema ci si sta chiedendo che cosa fare. E soprattutto: si riuscirà mai a dialogare? «A volte le aziende sono ingessate con i giovani, c’è un problema di rapporti tra senior e junior - dice Colombo - perché nelle aziende prevale un modello organizzativo dirigenziale verticistico, per il quale l’ascolto dell’ultimo arrivato è l’ultimo dei problemi. Stesso problema di scarso dialogo con il sistema formativo educativo: si chiede l’operaio formato e poi non voglio più avere niente a che fare con la scuola, quasi una logica a sportello. Invece sarebbe necessario parlare con la scuola durante il percorso ed entrare in classe». Ci sono quindi una serie di criticità evidenti ma che non rappresentano difficoltà insormontabili. Non c’è una spaccatura netta tra impresa e mondo dei giovani, semmai c’è un nuovo modo di affrontarsi, di parlarsi. «Oggi - conferma il direttore Colombo - l’innovazione chiede sempre di più un modello organizzativo orizzontale». Lo dimostra uno studio sul turnover pubblicato dall’Adp Research Institute nel 2023 e condotto su 500 aziende italiane con oltre 250 dipendenti, indagando 10.000 lavoratori: secondo i dati, i giovani tra i 18 e i 34 anni, con un alto livello di soddisfazione lavorativa hanno ben il 67% in meno di probabilità di cercare nuove opportunità rispetto ai loro coetanei meno soddisfatti.

I social non sono il bar

Ascoltare i giovani significa muoversi nello stesso raggio d’azione. «Le aziende - dice Colombo - devono incominciare a capire che i social non sono un gioco, non sono un bar, non sono una piazza, ma possono essere addirittura una carta d’identità per i giovani e, sul fronte opposto, una carta di presentazione per le aziende».

Non sono alieni

Serve un salto in avanti per superare la contrapposizione imprese-giovani. «Non è questione di contrattualizzare una percentuale di alieni per gestire questo nuovo linguaggio alieno - conclude Colombo - ma considerare i giovani parte dell’impresa, non un prestito. Per prima cosa, ascoltiamoli».

© RIPRODUZIONE RISERVATA