La rabbia degli automobilisti era fondata e ora anche le forze dell’ordine hanno dato ragione alle proteste di quattro anni fa. L’autovelox posizionato sulla provinciale 234 in territorio di Ospedaletto (rimasto in funzione per diversi anni fino al 2007) non era omologato, ma “progettato” con il preciso scopo di fare il maggior numero di multe. È la conclusione a cui sono arrivate le indagini avviate alcuni anni fa dalla guardia di finanza di Brescia, che hanno permesso di denunciare 558 persone fra cui il titolare della società Garda Segnale Srl, D.B. di 60 anni, e i funzionari pubblici di tutti i comuni coinvolti, 146 in tutto, compreso Ospedaletto. I reati vanno dalla truffa alla corruzione alla turbata libertà degli incarti.
«L’autovelox è rimasto sulla 234 fino alla fine del 2007, quando il prefetto tolse la provinciale dall’elenco di strade in cui si poteva posizionare questi apparecchi - spiega il sindaco Eugenio Ferioli -. Fu messo dalla precedente amministrazione, e per toglierlo avremmo dovuto pagare una penale altissima. Dal 2008, invece, l’autovelox fu sostituito dal “rossostop”, posto dalla stessa azienda. Ma noi non ci fidavamo molto di loro e così lo facevamo tarare ogni anno da una ditta esterna». Quell’incrocio, comunque, precisa il sindaco, è tuttora molto pericoloso e più volte il Comune ha sottolineato l’esigenza di realizzare una tangenziale o una rotatoria. «Ora è tutto fermo, ma dal 2012 la Provincia dovrebbe avviare l’iter per la nuova opera che metterà l’incrocio in sicurezza».
Ospedaletto è l’unico comune lodigiano coinvolto dallo scandalo degli autovelox. La società incriminata, secondo quanto emerso dalle indagini, otteneva gli appalti con le amministrazioni attraverso finte gare a cui partecipavano solo ditte riconducibili a D.B.. In tutti i verbali prodotti dalle apparecchiature, poi, grazie a un sofisticato sistema informatico, venivano falsamente riportate sempre le matricole delle uniche due omologate, che risultavano pertanto presenti in più parti d’Italia contemporaneamente. In questo modo gli automobilisti non avevano strumenti per contestare l’idoneità delle apparecchiature davanti agli organi di giustizia.
Complessivamente gli oltre 50 impianti hanno “prodotto” 82mila multe, per un importo di circa 11,5 milioni. Una parte restava ai Comuni, l’altra alla società, che investiva i profitti acquistando immobili che poi rivendeva anche più volte e acquisendo società e portandole alla bancarotta dopo aver svuotate di tutti i loro beni. I militari hanno ipotizzato anche un’associazione a delinquere con altri quattro soggetti.
Davide Cagnola
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