L’Italia dovrebbe sembrare un grande cantiere, tanti sono i progetti di riforma avviati. Un grande cantiere percorso da operai indaffarati, supervisori attenti, tutti presi da un progetto ambizioso, di cui tutti sono consapevoli e fieri. Insomma, l’immagine che ci viene tramandata dell’Italia del “miracolo” e del “boom” economico, quando l’autostrada del Sole, di cui abbiamo appena festeggiato i cinquant’anni, veniva costruita in otto anni.L’impressione è invece diversa: le riforme che si accavallano sembrano piuttosto un tentativo di risposta rapidamente reiterata ad un’Italia sotto stress, affidandosi ad una terapia che comporta prioritariamente un massiccio investimento di comunicazione. La comunicazione è diretta, senza intermediari. La cura dello stress prevede insieme di rassicurare il paziente, ma nello stesso tempo di fomentarlo, dirigerne le pulsioni, identificando volta per volta dei bersagli polemici. Anche a costo di generare un processo di frammentazione del corpo sociale, mettendo in competizione, quando non in conflitto, categorie o generazioni e delegittimando così le classi dirigenti intermedie. E di questo non si può non essere preoccupati.Nulla di nuovo, nella sostanza: sono oltre vent’anni che si parla di riforme, mescolando schemi di importazione americana con vecchie incrostazioni di interesse nazional-corporato. Questo ha generato e verosimilmente genererà, dalla pubblica amministrazione alla scuola, ad altri comparti delicatissimi e decisivi, una pericolosa tendenza ad esprimere il peggio del “vecchio” e del “nuovo”. Riforme costruite a tavolino falliscono nella loro messa in opera e creano ulteriore stress.Il primo significato del verbo riformare è “far riprendere la forma primitiva” e così “trasformare dando forma migliore”. Riforma dunque è un’operazione delicata e cruciale tra passato e futuro, che non può che partire da una realistica “operazione verità” e di conseguenza dal promuovere una altrettanto chiara assunzione di responsabilità: di tutti, a partire ovviamente dagli stessi decisori.In questo modo si può passare dal dire al fare e si possono evitare i due apparentemente opposti mali italiani, che in realtà si combinano e si coalizzano, il vecchio gattopardismo per cui tutto si cambi perché nulla cambi e un autoritarismo formale altrettanto inconcludente, in quanto espressione di debolezza.Perché le riforme vanno fatte. Ma si possono fare efficacemente soltanto con grande realismo e nello stesso tempo con grande responsabilità, non frammentando, ma ricomponendo e rilanciando: interessi, forze produttive e culturali, categorie, generazioni diverse.Questa capacità distingue i “leader”, che intercettano il consenso, tentando di amplificarlo, dagli “uomini di Stato”, che invece guidano i processi. Una bella sfida per Renzi, ma anche per un nuovo assetto del sistema politico (e istituzionale).Ed è anche una bella sfida per un riconfigurato mondo cattolico italiano, di cui bisognerà riparlare.
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