Non passa giorno che non si parli di scuola. Pare che una sorta di risonanza emotiva imponga una forte accelerazione nel diffondere, dalle Alpi a Pantelleria, ogni notizia brutta o singolare che sia. Che sia questione di orari di lavoro o di tagli preoccupanti, di episodi strani o anche di episodi violenti e stupidi, sta di fatto che di scuola si vive, si parla e ci si preoccupa. A parlare o a far parlare di scuola contribuiscono un po’ tutti. I docenti preoccupati dei tanti cambiamenti annunciati molti dei quali anche professionalmente «mal digeriti»; i presidi preoccupati per il fatto di avere continuamente a che fare con normative contraddittorie che rendono di difficile applicazione la stessa autonomia tanto riconosciuta e sbandierata quanto ostacolata da norme che ne annacquano l’applicazione; i genitori talvolta scontenti degli insegnanti per via dei metodi didattici ritenuti non più rispondenti alle esigenze emergenti; gli studenti stufi di dover fare i conti con una realtà scolastica che fatica a soddisfare le loro aspettative; i politici che credono di risolvere i tanti problemi della scuola con il metodo del taglia e cuci. Tutti concentrati sulla scuola come se fosse un problema unico nel suo genere, come se la scuola fosse lontana e staccata da ogni altra problematica sociale. Eppure ci sono tanti episodi che ci dicono altro, che richiedono una diversa analisi prospettica fino a toccare ambiti che con la scuola hanno sì dei legami, ma non esclusivi. A mio modesto parere credo di vedere la scuola da un’ottica diversa da come viene presentata, forse perchè vivendola dal di dentro e toccando con mano problematiche specifiche, cerco sempre di andare a cercare le risposte altrove, fuori dall’ambito scolastico, per trovare le ragioni di certi fallimenti e di certe pesanti preoccupazioni che fanno della scuola un capro espiatorio delle tensioni che sono, invece, della famiglia, della politica, della società, dell’economia. E’ come dire che nella scuola si scaricano le tensioni accumulate altrove. Si scopre, allora, che i tanti studenti con problemi di apprendimento sono negativamente condizionati dai disagi socio-famigliari. La nostra società evoluta e tecnologicamente avanzata è andata oltre certi confini che regole qualificate, tramandate e non scritte, erano riuscite, nel passato, a circoscrivere. Oggi tutto questo è impossibile da garantire. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. I ragazzi fanno fatica a rispettare le più elementari regole di convivenza, trascinati come sono nell’effimero da chi offre false opportunità pur prospettate come traguardi, disegni e progetti altrimenti lontani dalla loro portata. Mi si potrebbe dire: sono ragazzi da educare. E allora mettiamo pure da parte i ragazzi da educare e andiamo a cercare di capire perchè educatori investiti di responsabilità agiscono in un modo tanto eclatante quanto discutibile. Capi d’istituto saliti, loro malgrado, agli onori della cronaca per decisioni che difficilmente possono rientrare tra quelle suffragate da una plausibile razionalità. Il mio pensiero va alla responsabile della scuola materna di Frassilongo, nel Trentino, che «posseduta» da un’idea laica della scuola, vieta ai bambini di fare il segno della croce al momento di sedersi a tavola. E che dire della mia collega del Liceo «Labriola» di Napoli che sospende quasi tutti i suoi studenti (per la cronaca quasi settecento) colpevoli di essersi opposti alle nuove disposizioni sulla durata dell’intervallo. Nell’uno e nell’altro caso sembra di essere di fronte a dei gravi problemi quando di grave nella scuola c’è ben altro. Come si fa a vedere nel segno della croce, vissuto come un particolare momento dai bambini di una scuola materna, un maldestro tentativo di annullare l’essenza laica della scuola pubblica? E poi siamo così sicuri che questa tanta sbandierata laicità sia la risposta razionale da dare a chi vive una particolare esperienza educativa o a chi trova nella semplicità dei gesti collettivi un valore che si fa fatica oggi a trovare nei vacui comportamenti dei singoli? E come giudicare la decisione presa dalla mia collega del «Labriola» di Napoli? Possibile che per farsi ascoltare dagli studenti si debba ricorrere alla sospensione in massa? E’ pur vero che talvolta, in quanto educatori, si è chiamati a censurare comportamenti da sanzionare in modo educativo e non punitivo, tuttavia quando la causa è un’incomprensione non può essere l’atto di forza la risposta alla soluzione. Anzi. Va da sé che in certi casi aumenta notevolmente il rischio di dare un significato punitivo a una decisione che deve caratterizzarsi come estremamente educativa fino a condividerne la valenza. Lo capì persino Ippaso di Metaponto, allievo di Pitagora espulso dalla scuola per aver rivelato al mondo esterno il segreto dell’esistenza dei numeri irrazionali. Storicamente mi sembra di essere di fronte al primo caso di sospensione dalle lezioni che abbia mai letto, anche se poi il povero allievo dovette fare i conti con la cattiva sorte. A quell’epoca agli improperi dei maestri seguivano le punizioni degli dei. E infatti fece una brutta fine. Oggi, invece, c’è chi ama esagerare e finisce inevitabilmente sulle pagine dei giornali. Vorrei comunque spezzare una lancia a favore dei miei colleghi. Se da una parte hanno fatto ricorso a decisioni del tutto discutibili in virtù dell’alto grado di discrezionalità esercitato nell’applicazione delle norme da rispettare, dall’altra capita talvolta di avere a che fare con norme che si rivelano ambigue e confuse anche se, al contrario, richiedono attuazioni cristalline, scaricando la loro artificiosità procedurale su chi è chiamato a implementarle. Potrei citare, per questo, numerosi esempi. Ed è proprio in simili casi che chi è chiamato a decidere viene spesso messo a dura prova; è in simili casi che deve essere dato il dovuto spazio alla mediazione necessaria a mettere in equilibrio interessi contrastanti. Sono percorsi irti di difficoltà e causa di stress, ma anche occasioni per dimostrare equilibrio e capacità gestionale. Che la preside arrabbiata del Liceo napoletano trovi nel dialogo con gli studenti la voglia della mediazione e che i bambini di Frassilongo si facciano pure il segno della croce prima di sedersi a tavola. Sono episodi che non mettono in crisi né il prestigio di una preside, né la laicità di una scuola.
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