Una scuola così è rischiosa

Recentemente il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha lanciato un siluro in direzione della scuola: «siamo il paese in cui il livello di istruzione dei giovani è ancora distante da quello degli altri paesi avanzati. Questo è particolarmente grave». Poi è arrivata la frecciatina del prof. Tullio De Mauro, già ministro dell’istruzione, «siamo il paese dove l’80% degli adulti non sa leggere un quotidiano». E non va dimenticato l’anatema dell’Ocse secondo cui i nostri ragazzi sono agli ultimi posti in Europa in Italiano e Matematica. Un nefasto trittico che ricorderemo a lungo. E’ nota la scarsa considerazione che gli insegnanti, come professionisti, godono presso il comune sentire, in compenso, però, la loro opera viene ritenuta nobile. Mi ricorda una frase di Plutarco nella sua opera «Vite parallele»: «i greci apprezzavano i profumi e le tinte, ma consideravano i profumieri e i tintori ignobili operai». Bella roba. Bisogna ammettere, però che se i nostri ragazzi sono ciucciarelli in Italiano e Matematica, ma non se ne curano perché tanto si va avanti lo stesso; se i nostri diplomati preferiscono andare a iscriversi all’università di Tirana in Albania perché le nostre sono a numero chiuso; se le promozioni rasentano oramai il 65% tra gli studenti delle superiori e il 97% tra gli alunni delle medie, allora vuol dire che qualcosa non gira. Il quadro non è dei più belli e ciò mette la nostra scuola in una posizione che può rivelarsi molto rischiosa per i nostri ragazzi. Non si può rimanere ancora alla finestra. Occorre una nuova «rivoluzione culturale» che tocchi i diversi ambiti. Partendo dalla scuola è oramai anacronistico continuare a parlare di valore legale del titolo di studio ben sapendo che i tempi richiedono altre soluzioni. Oggi si va affermando con sempre più credibilità il concetto del merito che supera il significato del pezzo di carta da conseguire ad ogni costo. Oggi si cerca lo studente preparato e competente, uno studente dal curriculum con merito e ciò presuppone molto più rigore e serietà nello studio. In questi giorni si sta celebrando il cinquantenario della scuola media unica, un traguardo che fu, per la società italiana di allora, di grande prestigio e che consentiva di raggiungere una fascia più ampia di preadolescenti destinati altrimenti all’abbandono.Scompariva il dualismo di gentiliana memoria talchè non si parlava più di ragazzi destinati al mondo del lavoro contrapposti ai ragazzi orientati alla formazione liceale. A tutti veniva offerto pari opportunità. La neonata scuola media era chiamata a dare risposte formative in un cotesto sociale non favorevole. Erano gli anni dell’alfabetizzazione di massa tant’è che anche la rai scese in campo, chiamando il maestro Alberto Manzi a dare lezioni in televisione con la trasmissione «Non è mai troppo tardi». Uno sforzo immane che consentì di elevare il livello di istruzione della popolazione italiana, che vedeva nelle campagne del sud la causa prima di un certo isolamento sociale e nell’industria del nord le ragioni di un riscatto famigliare. Oggi viviamo un processo inverso. Siamo in piena rivoluzione tecnologica. Non si parla più di fabbriche del nord, né di classe operaia, né di processi di alfabetizzazione, nè di classe sociale esclusa. Oggi siamo preda di un certo isterico pressapochismo collettivo che vede aprire falle nel nostro sistema scuola. Ne consegue che la scuola non prepara più come una volta, ma nel complesso due ragazzi su tre sono promossi; la formazione tocca in modo permanente tutte le età, ma l’80% per cento non sa leggere un quotidiano; la tecnologia sostituisce un modo di lavorare, rendendo più dinamico il rapporto scuola-mondo del lavoro, ma siamo costretti a registrare un pauroso analfabetismo di ritorno che rischia di buttarci fuori da ogni evoluzione del mercato chiamato al rispetto di nuove regole economiche. Da dove ripartire dunque? Come fare per invertire la tendenza in atto? Personalmente nel mio piccolo potrei dire che il primo passo da fare è quello di richiedere più rigore nello studio. Genitori e ragazzi devono capire una volta per tutte che il mondo è cambiato. Il sistema globalizzato consente tantissimo, ma richiede anche e soprattutto specifiche competenze in mancanza delle quali si rischia di rimanere ai margini dei processi in atto. E le competenze si acquisiscono non solo con una base teorica, ma anche con il desiderio di interpretare il mondo e soprattutto con un’attività formativa permanente che rompa gli schemi attualmente in essere e che di fatto vincola quella flessibilità, ritenuta al contrario una conditio sine qua non la didattica ne viene ampiamente sacrificata. Le scuole hanno il dovere di inseguire le aspirazioni dei ragazzi, di concretizzare le loro inclinazioni, di valorizzare le motivazioni, consentendo di creare occasioni di crescita culturale e formativa. Altro tassello importante è rappresentato, a mio modesto parere, dall’abbattere definitivamente la voglia pazza del pezzo di carta. I genitori devono mettersi in testa che oggi un traguardo si ritiene raggiunto solo grazie a specifiche abilità e competenze trasversali che non sono innate, ma si acquisiscono mediante conoscenze diversificate e che possono essere salvaguardate non da un pezzo di carta da appendere al muro alla pari di un trofeo da mostrare. Quante intelligenze sprecate! Che fine ha fatto l’Italia di Manzoni, Leopardi e Verga, ma anche di Volta, Meucci e Marconi e potrei continuare allungando a dismisura l’elenco delle nostre menti eccellenti dell’ottocento. «In quell’età – per dirla come Bertrand Russel riferito all’Atene di Pericle – era possibile come in poche altre, essere insieme intelligenti e felici». Cosa possiamo dire dell’oggi? Certamente non siamo felici e né possiamo definirci intelligenti visto l’autopsia cerebrale che ci hanno fatto statistiche e studiosi in questi ultimi tempi. Scolasticamente parlando, ci dicono che siamo ciucci, analfabeti, incompetenti, mentre dal punto di vista formativo siamo tecnologicamente arretrati; dal punto di vista sociale, poi, rischiamo di offrire l’immagine di un Paese socialmente conflittuale, economicamente piegato, produttivamente finito, eticamente azzerato e chi più ne ha, più ne metta. Ma non è così. Abbiamo competenze e specificità da far invidia a chiunque. Si deve colo cambiare rotta, ma con adeguati ed efficaci investimenti nell’unico settore possibile: l’istruzione.

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