Un modello è finito, ma non l’euro

La crisi di Cipro, che per un certo periodo ha tormentato la zona euro e l’Unione europea, sembra in fase di risoluzione. La settimana scorsa, i termini di un memorandum tra il governo cipriota e i rappresentanti della troika della Banca centrale europea, del Fondo monetario internazionale e della Commissione Ue sono stati sospesi e valutati. L’Eurogruppo ne discute il 12 aprile e le ratifiche parlamentari dell’accordo a livello nazionale - in particolare il Bundestag - potranno aver luogo nei prossimi giorni. Così, i primi pagamenti da parte del Meccanismo europeo di stabilità potranno avvenire all’inizio di maggio. Tale risultato porta a trarre una conclusione provvisoria. L’accordo raggiunto prevede un prestito europeo di 10 miliardi di euro contro fermi impegni di consolidamento di bilancio e una n modelloè finito,ma non l’eurodrastica ristrutturazione del sistema bancario del Paese. Il percorso per arrivarci è stato lungo, dato che le difficoltà del settore bancario cipriota hanno iniziato a farsi sentire a partire dalla primavera scorsa, nel periodo della ristrutturazione del debito greco.In realtà, la sola Bank of Cyprus (BoC) aveva perso in quel momento 1,9 miliardi di euro. Questo non spiega tutto, naturalmente, ma suscita la domanda sul perché questa banca avesse deciso di tenere nel suo portafoglio una parte spropositata di titoli del debito greco. Si trattava di un’espressione di solidarietà ellenica o il governo greco aveva promesso ai suoi creditori tassi di interesse elevati? La BoC ha dovuto probabilmente correre questo rischio sconsiderato, perché si era impegnata a pagare i depositi fino al 5%, benché né le congiunture economiche generali né la redditività dell’economia cipriota in particolare lo permettessero. L’atteggiamento della seconda banca del Paese, Laiki, che ora sarà sciolta, deve essere stato simile. In breve, il modello economico di Cipro, che era in gran parte basato sul suo settore finanziario, già da qualche tempo era in difficoltà grave. Ora, dopo lunghi mesi di tergiversazione durante il precedente governo e dopo le esitazioni della nuova squadra del presidente Nicos Anastasiades, Cipro ha dovuto riconoscere l’evidenza. Di fronte a questo ritardo costoso, si può certamente rimproverare alle istituzioni europee di non essere intervenute, ma le responsabilità principali sono da parte cipriota. Commentando gli avvenimenti, l’arcivescovo Chrisostomos II, capo della Chiesa ortodossa di Cipro, ha messo in discussione dal suo punto di vista la vitalità dell’euro e ha consigliato al suo popolo di abbandonare l’unione monetaria. Ma le autorità civili non sembrano voler seguire questo consiglio, anche perché le conseguenze sarebbero ancora più devastanti. La massiccia inflazione a seguito di una tale decisione distruggerebbe immediatamente la maggior parte dei risparmi, senza distinzione, e inoltre non esiste una infrastruttura industriale che potrebbe beneficiare di un nuovo tasso di cambio favorevole. No, ciò che è in questione è la vitalità di un modello economico basato troppo esclusivamente sul settore finanziario. I tentativi di salvare questo modello hanno spinto il governo cipriota a proporre una tassa sui conti correnti bancari, ivi compresi il 95% dei titolari di depositi inferiori a 100mila euro. È per questo che la prima versione dell’accordo, adottato all’unanimità dall’Eurogruppo nella notte del 16 marzo, includeva questa misura drammatica. È stato uno shock per i ciprioti e poi per una buona parte della popolazione europea, che ha iniziato a dubitare della sicurezza dei propri risparmi in banca, mentre la legge europea promette una garanzia per tutti i beni bancari fino a 100mila euro. I responsabili di questa decisione avrebbero dovuto ricordare ciò che Machiavelli scrisse nel “Principe”: “Gli uomini dimenticano più in fretta la morte del proprio padre che la perdita del proprio patrimonio”. Privare le persone di una garanzia minima per esercitare la propria autonomia e quella della propria famiglia sarebbe stata una grave ingiustizia.

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