Se il gioco lo guidano gli altri

Tra la situazione attuale di crisi, e la ripresa economica, sta di mezzo il mare. Di ripresa, ce ne sarebbe bisogno come il pane: ma mancano farina e lievito per realizzarla. Ed esiste il fondato sospetto che mancheranno per lungo tempo. Il governo Monti nacque alla fine del 2011 per trascinare l’Italia fuori dal gorgo che nel frattempo ha inghiottito la Grecia e sta inghiottendo la Spagna, prossima vittima sacrificale sull’altare degli eccessivi debiti e di un euro che non li difende. Una serie di manovre governative ha convinto il mondo che l’Italia ha la forza per sostenere il suo enorme debito pubblico; ma nello stesso tempo ha molto fiaccato il corpaccione di un’Italia che da troppi decenni va a velocità differenziate ed ora è praticamente ferma.Per mantenere la pace sociale, le manovre targate Monti (e Berlusconi prima) sono state quasi tutte sul fronte delle entrate: un po’ di spremitura per tutti piuttosto che tagli drastici per alcuni. Quindi carburanti che ormai sono i più cari d’Europa; l’introduzione dell’Imu; aliquote Irpef locali in crescita; e soprattutto uno stillicidio di piccole decisioni (ultime: la riduzione della deducibilità delle spese auto) tutte gravanti sui portafogli degli italiani. La riforma delle pensioni ha dimensioni temporali più dilatate; le cosiddette liberalizzazioni sono arrivate, nella versione definitiva, assai “condensate” e certamente non risolutive per stimolare un’economia ufficialmente in recessione. Chi pensa che l’apertura di qualche farmacia in più possa fare il miracolo, semplicemente s’illude. Né il via libera agli orari continuati per i negozi ha portato stimoli particolari ai consumi: se non ne hai in tasca, non ne spendi né al sabato né alla domenica.Non parliamo poi della tanto declamata riforma del lavoro, che sta assumendo contorni scespiriani: molto rumore per chissà cosa ne usciràIn mano al premier rimangono tre carte. La prima è quella della riduzione degli interessi da pagare sul debito pubblico. Se proseguirà il calo del famoso spread, lo Stato si troverà in tasca qualche miliardo di euro in più; così come è aumentata la pressione contro gli evasori fiscali, con una serie di norme e controlli che dovrebbero portare in cassa più soldi.Quindi la vendita di qualche bene di proprietà pubblica, fatta con oculatezza ed intelligenza. Vendere un palazzo per poi riaffittarlo, non pare il massimo del risparmio. Infine i tagli (significa: licenziamenti e/o riduzioni degli stipendi) nel caso le cose precipitassero. Come stimolo economico, sono discutibili.Non è questione di pessimismo. Mario Monti è uomo intelligente e preparato. Non nasconde le carte giuste per una ripresa economica, per motivi zodiacali o ubbie personali. È che le carte che abbiamo in mano ci permettono per ora di rimanere in partita, ma non di vincerla. Perché il gioco lo fanno altri.Lo fa il sistema finanziario, che non perdona più debiti insostenibili: chi ha prestato soldi, vuole avere la sicurezza di riaverli indietro. A Zurigo come ad Hong Kong. Lo fa il sistema bancario, in realtà in crisi nera e preoccupato di sopravvivere. È il cuore del nostro sistema economico, lo sa e lo fa pesare; anche se poi lesina di pompare sangue ovunque per non compromettersi. Lo fa la Germania, unico Paese europeo che ha la forza autonoma di una grande visione: quella di un mondo fatto da medio-grandi potenze economiche, una sola proveniente dalla vecchia Europa. Rendiamoci conto che globalizzazione non significa solo: spostare la fabbrica in Vietnam per risparmiare sui costi. Ma che l’intero mondo gioca la stessa partita con le stesse carte. Il futuro è il Brasile o l’India, non l’Italia o la Francia.Ebbene: la Germania non ha (più) voglia di caricarsi certe zavorre europee sulle spalle. È finito lo spirito del Dopoguerra e quell’europeismo che ha avuto forza finché l’Europa contava nel mondo. L’euro – che è stato imposto ai tedeschi – non funziona anche per la volontà tedesca di non farlo funzionare così com’era stato ideato. A breve Berlino dovrà chiarire a tutti cosa intende fare da grande; a noi la capacità di capire a quale carro agganciarci, pronti per farlo al momento opportuno. Se sapremo farci trainare dal cavallo giusto, faremo ancora strada: altrimenti dovremo avere l’intelligenza di gestire bene il declino economico che ci riguarderà nei prossimi decenni, in parallelo con quello demografico già in atto.

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