Che il cane sia il miglior amico dell’uomo più che un luogo comune è una conferma scientifica suffragata dai tanti episodi in cui lo hanno visto protagonista di singolari imprese. Ma che si andasse oltre questa cultura scientifica per incontrarlo nelle scuole come tutor per alunni, questa è una notizia che merita la dovuta attenzione. C’è da chiedersi se ciò rientri in una particolare questione di feeling tra l’uomo e l’animale o è frutto di un rapporto vacuo, sapendo, comunque, che un cane non potrà mai dire la sua. Intanto ci sono scuole dove i cani vengono ad assumere un ruolo particolare senza aver fatto nessun concorso, senza entrare in alcuna graduatoria, ma soprattutto senza aver acquisito alcun titolo di studio. In verità i cani inseriti nel progetto «Cani da assistenza alla lettura» hanno acquisito un minimo di preparazione a cui è seguito uno screening di verifica delle abilità acquisite, come lo scodinzolare per manifestare gioia o il leccare le mani del bambino per trasmettere la sua accondiscendenza. Un progetto molto noto in America, ma che ora sta prendendo piede anche da noi. Un progetto dove il cane si ritrova protagonista fondamentale per sostenere il bambino nel processo formativo. Al di là del compito specifico affidato al cane, un dato è certo. Il rapporto tra uomo e animale assume una valenza anche come fatto culturale. Un cultura vecchia quanto il mondo. E in questo Diogene di Sinope, il punkabbestia per antonomasia, ha fatto scuola. Sì perché è a lui che dobbiamo risalire per avere un primo approccio culturale del rapporto tra l’uomo e il cane. È bene sapere, infatti, che i Corinzi affezionati com’erano a quello strampalato filosofo che preferiva vivere in una botte piuttosto che in una casa, vollero lasciare ai posteri un segno tangibile, un ricordo a futura memoria, dedicandogli una statua in marmo in compagnia di un cane. Non che si avvalesse di un cane quale tutor per i suoi allievi, ma semplicemente per tramandare quella sua strana scelta di vivere come un trasandato, restio a ricorrere a ogni tipo di confort pur di lasciare una testimonianza di vita vissuta in modo semplice, sobria e serena. Dunque è affidata al cane l’idea di trasmettere agli uomini la necessità di raggiungere un certo livello di saggezza e serenità per raggiungere un determinato equilibrio nelle relazioni umane. E’ dunque al cane che si rivolge la singolare metodologia, sapendo che la semplice compagnia di un animale può trasmettere ai bambini quel coraggio di comunicare che viene talvolta a mancare se ad esercitare tale ruolo è un maestro. Un ruolo, quindi, fortemente innovativo. Mentre per niente innovativo ritengo sia, invece, il metodo applicato alla didattica dal professor Vladimir Bazarnyi che, come si potrebbe intuire, ha trovato terreno fertile in Russia anche se negli ultimi tempi si va sempre più diffondendo in tutta Europa. Anche da noi? Speriamo di no. Quali le stranezze? Intanto gli allievi sono divisi in classi maschili e classi femminili. E fin qui possiamo anche riscontrare un qualcosa di normale, ma quando vediamo allievi che a rotazione sono chiamati a stare in piedi e poi seduti per tutto il tempo di permanenza in classe o quando vediamo che agli allievi vengono proibite le penne biro sostituite dalle penne con il pennino, allora qualche dubbio sull’efficacia di tale metodologia mi viene. O meglio. Se a fondamento di questo particolare metodo c’è la convinzione che la postura che i ragazzi assumono a scuola potrebbe, a lungo andare, diventare fonte di rischio per la salute una volta adulti, si può ravvisare una certa razionalità. Ma che la penna biro venga ritenuta causa di disturbi cardiaci mentre il pennino consente un approccio cardiaco più ritmato allo studio, rivelandosi così salvifico per la salute, penso che di razionale in questo ci sia ben poco o nulla. Altrettanto curiosa è la sperimentazione in corso nella scuola elementare di Cascina Crotta di Casate Nuovo in provincia di Lecco, dove ci sono maestre che affidano gli allievi alla pratica yoga.Pare che i lamentosi «aumm» ripetuti continuamente, contribuiscano a infondere serenità, equilibrio e pace necessari per affrontare gli impegni scolastici quotidiani, rivelandosi efficaci anche nella soluzione di problemi legati alla dispersione e al disagio scolastico. Non solo. E’ convinzione diffusa che un metodo del genere riesca persino a ridimensionare il fenomeno del bullismo nelle classi. Che sia vero? Boh? Non che ce l’abbia con lo yoga, per carità. Personalmente, però, ho dei forti dubbi che una disciplina del genere possa riuscire là dove non riesce, talvolta, la pazientosa opera educativa di un docente impegnato con i suoi allievi. Cani tutor visti come ideali assistenti sociali, pennini con l’inchiostro scelti come metodo per assicurare agli allievi regolari battiti cardiaci durante lo studio, l’«aumm» dello yoga come «vibrazione cosmica» utile a combattere il bullismo, sono metodologie che mi lasciano un po’ perplesso e tuttavia godono di una certa credibilità fino a conquistare attenzione e spazio sperimentale in alcune nostre scuole. Se è così, allora dovrebbe avere credito anche l’insegnante favorevole alla didattica tradizionale. Una didattica fondata essenzialmente sugli insegnamenti del leggere, scrivere e far di conto, sui tradizionali riassunti, temi e commenti, sulle tabelline e poesie da imparare a memoria, sulla grammatica e sulla sintassi, sugli intramontabili classici come l’Iliade e l’Odissea di Omero o l’Eneide di Virgilio. Potrebbe questo tipo di didattica richiamare una dimensione attiva dell’apprendimento? Può darsi. È pur vero che il riferimento va a una dimensione che dovrebbe andare oltre ogni confine di omologazione strutturale della scuola, oltre ogni limite di azione dei ragazzi, espressione di un nuovo assetto sociale dove le comunicazioni, le relazioni, le competenze stesse richiamano a un’idea di realtà totalmente diversa da quella dalla generazione precedente. Può essere anche che qualcuno trovi nei metodi tradizionali la risposta che cercava alle nuove esigenze formative, e se è così allora vuol dire che certi strani metodi didattici, esercitati qua e là nella scuola reale, si intersecano con le vecchie tradizioni. Mi sorge un dubbio però. Non è che per caso la didattica sia in stato confusionale?
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