Prof manesco sospeso dal servizio

È notizia di questi giorni quanto capitato in un Istituto Tecnico di Verbania dove un professore è stato sospeso dopo un diverbio con un suo studente sfociato in una reazione che non ha nulla a che vedere con l’opera educativa. Tutto ha inizio in aula. La spavalderia, l’arroganza nonché la vivacità del giovane studente sono state dapprima affrontate con pazienza e professionalità per far posto subito dopo, una volta fuori dall’aula, a una reazione eccessiva non degna di un educatore. Galeotto fu quel ceffone ben assestato in un momento d’ira e che ha determinato in maniera inequivocabile i torti dell’uno contrapposti alle ragioni dell’altro. Si sa che i ceffoni, seppure resi ovattati dalla fiacchezza del movimento, non fanno più parte del bagaglio educativo di un insegnante. E questo anche se espressamente richiesti o autorizzati dai genitori che vedono nel ceffone la storica pratica educativa d’altri tempi tramandata di padre in figlio. Ma i tempi sono cambiati ragion per cui la storia ha preso un’altra strada talché ciò che una volta era tradizionalmente consentito, oggi è vietato se non addirittura proibito. Ogni gesto educativo deve necessariamente passare dalle qualità morali e professionali di un docente che non deve mai lasciarsi trascinare in uno stato degenerativo. Alzare le mani non fa parte della cultura educativa propria di un ambiente scolastico e di regola non lo dovrebbe essere nemmeno di qualunque ambiente. Le questioni soprattutto se vivaci, devono srotolarsi e sciogliersi mediante confronti liberi e liberati da atteggiamenti provocatori. Ma sappiamo tutti che spesso così non è. Oggi assistiamo, non di rado, a reazioni spropositate tra adulti che arrivano anche a scambiarsi ogni tipo di contatto fisico senza esclusione di colpi e visto che gli adulti sono presi a modello e riferimento dai ragazzi, ecco allora che non c’è nulla di cui meravigliarsi se certi atteggiamenti sono messi in pratica anche dagli stessi ragazzi. Impietose, a tal proposito, sono le impressionanti immagini trasmesse dalla televisione ucraina che ha ripreso il momento culminante di una rovente mega rissa tra parlamentari appartenenti alle diverse fazioni politiche. Il Parlamento viene trasformato in una bolgia dove volano scarpe, microfoni, cellulari, oggetti vari, accompagnati da ceffoni, calci e pugni scambiati tra «gentiluomini». E se in Inghilterra ha destato un certo stupore la proposta avanzata dal Ministro dell’istruzione inglese di varare un nuovo codice di comportamento dei docenti nelle scuole di sua Maestà che prevedesse il ricorso all’uso delle mani pur di imporsi sugli studenti più facinorosi, cosa pensare per quanto deciso in South Dakota, negli Stati Uniti, dove ai docenti a partire dal prossimo luglio sarà consentito recarsi a scuola armati per affrontare particolari situazioni che possono degenerare in atti violenti? Se per il Ministro dell’istruzione inglese «nessun insegnante dovrà avere più paura durante la lezione», per il governatore del South Dakota nessun insegnante, trasformato in «sentinella scolastica», dovrà più scappare davanti a un alunno violento. Siamo alle solite esagerazioni. Quale funzione educativa ci sia in questo, è tutto da verificare. Per certi aspetti si ritorna all’antico quando a Sparta le punizioni degli allievi erano affidate agli ireni, ovvero ai giovani più grandi che insegnavano agli allievi più piccoli a come sopportare il dolore causati da atti violenti. Questo perché il dolore aiutava a rafforzare l’animo e a sopportare qualsiasi situazione avversa. Erano metodi molto in voga a quei tempi. Più si picchiavano gli allievi, più questi ultimi riuscivano a sopportare i colpi inferti, più venivano ritenuti idonei per l’esercito. Una volta adulti, tornati vivi dalle campagne belliche, venivano loro riservati grandi onori. Tra l’altro anche quello di scegliersi la ragazza con cui convolare a giuste nozze. La scelta avveniva nelle palestre dove le ragazze da maritare sfilavano senza veli, mostrando le proprie grazie. O tempora, o mores! Oggi a nessuno è permesso a scuola strapazzare un alunno (com’è giusto che sia), ma dovrebbe essere così anche a parti invertite, ossia nessuno dovrebbe strapazzare un insegnante. E invece sappiamo di tanti episodi che lasciano l’amaro in bocca. Docenti irrisi, continuamente provocati dagli allievi, pedagogicamente indeboliti dalle continue contestazioni dei genitori, rendono l’opera dell’insegnante molto impegnativa. Ma questo non può in alcun modo giustificare il ricorso alla violenza per far capire le proprie ragioni. Un docente ha dei limiti invalicabili entro cui tenersi. Non può e non deve oltrepassarli. L’arroganza, la spavalderia, le provocazioni di un alunno sono sicuramente delle situazioni che mettono a dura prova le capacità di sopportazione di un insegnante. Eppure tutto questo non può dare il via libera alle reazioni corporali. Ci sono diversi modi per arrivare a correggere con fermezza determinati errori degli allievi. Ma l’uso delle mani anche se storicamente popolare e per certi versi talvolta ritenuto salvifico, non può rappresentare un valido metodo correttivo. Le reazioni manesche non sono consentite a nessuno, men che meno a un docente chiamato per natura a educare, facendo leva sull’animo più che sui muscoli. Un concetto che troviamo ben espresso nelle «Leggi» di Platone dove emerge la necessità di procedere alle punizioni degli allievi, qualora necessarie, per evitare il rischio di farli crescere nella mollezza. Il capitolo delle punizioni è prodigo di consigli. Si raccomanda al maestro di assicurarsi affinché la punizione assegnata non provochi una ribellione da parte del discepolo, mentre invece, «prendendosi cura dell’educazione dei fanciulli raddrizzi le loro nature». Ad onor del vero i miei genitori più che la mia natura hanno raddrizzato la mia schiena con la storica frase: «quando ci vuole, ci vuole». E sulla scia dei genitori facilmente si inserivano anche gli insegnanti. Sfido chiunque della mia generazione a non ricordare i metodi correttivi delle maestre che partivano dalle dolorose bacchettate sul dorso delle mani, per arrivare alle vergate sui polpacci, o quando andava meglio all’isolamento dietro la lavagna (cosa oggi impossibile con le lavagne interattive), o all’ora trascorsa in ginocchio sul pavimento freddo, ruvido e sconnesso reso caldo, liscio e piagante dal rossore delle rotule. Ma questo, per fortuna, è roba del secolo scorso.

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