Le scuole paritarie sotto attacco

Aristippo di Cirene amante della bella vita, definito dai suoi contemporanei uno “sborone” (se oggi fosse ancora in vita sono sicuro che girerebbe in Ferrari), da buon sofista differenziava accuratamente la richiesta delle rette delle sue lezioni private. Prendeva di più dagli allievi ciucci e meno dai più bravi. Una volta un papà di un ciuccio contestò la richiesta di 500 dracme «Ma io con 500 dracme mi compro uno schiavo». «E tu compralo questo schiavo – rispose - così poi te ne troverai due: tuo figlio e quello che hai comprato». Una simile situazione si presenta a Bologna. Tutto comincia con un comitato civico che si è dato da fare nella raccolta delle firme per promuovere un referendum cittadino: il Comitato Articolo 33 (allusione all’art. 33 della nostra Costituzione).L’iniziativa, non gradita a una certa sinistra, ha spaccato in due la città. Da una parte il sindaco (di sinistra) e la giunta comunale affiancati dalle scuole paritarie quasi tutte cattoliche; dall’altra la sinistra più radicale e un certo sindacalismo spinto pronti a rivedere un rapporto che leggi illuminate hanno sin qui reso equilibrato. Il Comitato Articolo 33 e un gruppo di intellettuali alcuni dei quali conosciuti al grande pubblico come Margherita Hack astrofisica o Moni Ovadia scrittore, hanno innescato una discussione che facilmente farà salire il livello di tensione in città da qui alla fine di maggio. Materia del contendere? L’annoso problema del finanziamento pubblico alle scuole materne paritarie. Un finanziamento che a Bologna, oltre che storico, è anche alquanto cospicuo con il suo milione e rotti di euro, ma che ora si vorrebbe eliminare per passarlo direttamente alle scuole materne comunali meglio identificate come scuole pubbliche (e le paritarie che sono?). La tensione è arrivata alle stelle quando sono state consegnate al sindaco di Bologna, Virginio Merola, ben 13 mila firme raccolte per indire un referendum ora previsto per il prossimo 26 maggio. Costo preventivato della consultazione referendaria cinquecentomila euro, ovvero la metà di quella da destinare alle scuole paritarie. Un referendum che trascinerà la civica Bologna in un dubbio amletico e questo nonostante a rendere più tranquille le passioni umane siano intervenute in soccorso dapprima la legge 62/2000 del Ministro Berlinguer durante il governo D’Alema, di centro-sinistra e successivamente la legge 27/2006 del Ministro Fioroni durante il secondo governo Prodi sempre di centro-sinistra.Ora una domanda è d’obbligo. E se le scuole paritarie fossero costrette a chiudere i battenti, dove indirizzare quei 1800 bambini i cui genitori hanno fatto una scelta diversa? Un problema scontato e di un certo peso visto che le scuole comunali bolognesi non riescono a soddisfare tutte le richieste presentate tanto da generare interminabili liste di attesa col rischio evidente di lasciare a casa centinaia di bambini. Eppure questo per i promotori è un dettaglio che da solo non è sufficiente a giustificare il finanziamento pubblico alle scuole materne paritarie del capoluogo emiliano, tutte cattoliche, tutte dalle grandi tradizioni didattico-educative. Con un milione di euro, a parere dei tanti detrattori delle scuole non statali, si possono costruire altre scuole per far fronte alle richieste inevase. Come se questo non possa generare altri problemi. Che si costruiscano pure altre scuole, direbbe Aristippo, così si avranno doppie spese di gestione: quelle destinate agli edifici vecchi e quelle per i nuovi. Altro che un milione di euro! Altro che «risorse destinate a scuole private».Come si può notare c’è chi continua a usare una terminologia errata, ravvisando nel termine “private” l’unica occasione da cogliere per definire lo spartiacque tra un tipo di scuola e un altro, dimenticando che tutte le scuole assolvono a compiti formativi ed educativi. Tutte le scuole svolgono un servizio pubblico. Ma evidentemente c’è chi ama lo scontro. E quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. Tant’è che mentre Elena Ugolini (di sinistra) attuale sottosegretaria all’Istruzione prende le distanze dalla polemica in atto, ritenendola fortemente pretestuosa tanto da affermare «E’ ideologia. E’ solo ideologia», il Comitato promotore, invece, ribatte che «Se c’è una componente ideologica nello schieramento in campo, questa è di chi non vuol mettere in discussione la scelta di destinare fondi pubblici alla scuola privata». A sinistra, come si può notare, se la mandano a dire di tutti i colori. Si scambiano reciprocamente colpi bassi senza risparmio. Lo scontro è tra chi vede nella scuola pubblica e laica(?) l’unica in grado di garantire l’istruzione gratuita per tutti e chi vede nelle rette l’unico mezzo che possa consentire a tutti di scegliere liberamente la scuola per i propri figli con la possibilità di contenere i costi. Una situazione che ha generato una notevole spaccatura non solo a livello civico, ma anche a livello politico, sindacale, sociale. Tutti divisi, tutti contro tutti. Tutti impegnati a portare un vivace contributo al dibattito in corso che dalle dichiarazioni rilasciate alla stampa, non segue più un’unica direttiva, ma si espande su un livello a ventaglio tanto da rendere caotica ogni iniziativa. Tuttavia bisogna stare attenti. Che la questione non sia da sottovalutare lo fa capire quanto già sta maturando in altre regioni come la Puglia e la Lombardia dove stanno nascendo simili comitati per dare una spallata alla scuola paritaria. Questo clima rischia di avvelenare l’aria fino a estendere i problemi su un piano di idee più vasto e meno controllabile. Mi riferisco a quanto sta accadendo in questi giorni alla “San Giusto” di Milano, una scuola primaria sperimentale civica, di eccellenza, che il nuovo Assessore all’educazione della giunta Pisapia, prof. Francesco Cappelli (già mio esimio collega), intende affossare e cederla allo Stato perché costosa e perché contrario alle scuole di eccellenza. Suonano forti le sue parole: «Sono contro le eccellenze soprattutto nel mondo della scuola» (Ahia! Che svarione! Mi rimangio l’esimio).Una situazione pesante che porta Valentina Aprea, assessore regionale all’Istruzione, a scendere in campo in difesa della San Giusto poiché «se la decisione assunta dal Comune di Milano fosse di natura ideologica, sarebbe un fatto molto grave». Intanto però “mala tempora currunt”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA