Il dibattito attuale sul servizio civile, drammaticamente segnato dal rischio di una battuta d’arresto delle partenze di giovani nel 2013, sembra far ritornare non sempre a proposito alcuni argomenti e temi sui quali si sperava di aver trovato una unanimità di consensi.Un primo tema riguarda la riproposta del servizio civile obbligatorio per tutti i giovani italiani, tra i 18 e i 28 anni. Lasciando alla discussione degli economisti cosa potrebbe costare questo ritorno al servizio civile come luogo educativo alla cittadinanza – presumibilmente non meno di 1 miliardo di euro all’anno – in un tempo in cui non si trovano 70 milioni di euro per continuare l’attuale forma di servizio civile volontario, mi domando quanto può giovare parlare eventualmente della gallina di domani – ammesso che sia tale – e non accontentarsi dell’uovo di oggi. Non riconoscere il valore di un’esperienza libera, educativa alla partecipazione e alla cittadinanza e alla difesa non violenta che in taluni casi è anche gratuita, certamente che ha un ritorno quattro volte l’investimento che lo Stato ha fatto, credo sia una scelta miope in termini di politiche giovanili e di sviluppo oggi. Semmai occorrerà domandarsi: come aiutare a sviluppare questa scelta libera di migliaia di giovani oggi mortificata; come fare in modo che anche i giovani meno scolarizzati la scelgano; come raccordare il servizio civile nazionale con quello regionale; come connettere il servizio civile con la cittadinanza europea, con la patria europea, che oggi vede presenti migliaia di giovani europei provenienti, ad esempio, dalla Romania, dalla Bulgaria, ma anche migliaia di studenti della Spagna e di altri Paesi grazie all’Erasmus? Il secondo tema riguarda la possibilità di accesso dei giovani stranieri al servizio civile. Già in diversi seminari nel corso di questo ultimo decennio, organizzati dall’Ufficio nazionale servizio civile con la Scuola Sant’Anna di Pisa, con la Cnesc (Conferenza nazionale enti servizio civile), oltre che alcune sentenze della Corte Costituzionale avevano aiutato a leggere il concetto di difesa della patria in stretto collegamento con la cittadinanza, ma anche con i diritti delle persone sanciti dalla nostra Costituzione. Al di là dei distinguo giuridici, credo che proprio per la sicurezza del nostro Paese sarebbe importante coinvolgere i giovani stranieri di prima e seconda generazione nel servizio civile. Si eviterebbero nuove banlieue, si costruirebbero percorsi d’incontro e di conoscenza, di dialogo intergenerazionale e interistituzionale che aiuterebbe a costruire una città, dove al centro è la piazza e non il muro. Non vorrei fra qualche anno scrivere la favola di stile esopiana o di altro genere cominciando “c’era una volta il servizio civile” e finire con il tradizionale “la favola insegna”: attenzione a buttare via con l’acqua il bambino, con il servizio civile volontario un’opportunità ai giovani di crescere dentro e non fuori la città.
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