Da Florenzi no al calcio del filo spinato

Qualcuno l’ha definito eccessivo, altri si sono persino spinti a bollarlo come esibizionistico. Invece no, chi conosce davvero il ragazzo (prima del calciatore) Alessandro Florenzi sa che quella corsa a perdifiato a scavalcare il rettangolo di gioco, fino ad arrivare alla tribuna per abbracciare sua nonna dopo un gol è qualcosa di assolutamente autentico, un gesto bello, pulito, che ci fa riconciliare con un mondo, quello del calcio, che si è fatto negli anni sempre più cupo, violento e pericoloso per quelle famiglie che invece i padroni del nostro pallone vorrebbero vedere numerose in stadi che sembrano invece sempre più fortini assediati dalla violenza ultrà. Roma soprattutto, da qualche mese, è diventata, parlando di calcio e dell’Olimpico, un avamposto di crimini assortiti, una sorta di terra di nessuno, dove, sia fuori dallo stadio che sugli spalti, sono stati compiuti atti criminali. Usiamo appositamente questi termini, perché di solito tutte le nefandezze che si compiono all’interno di un impianto sportivo, vengono derubricate alla voce “ordine pubblico”. Oggi non è veramente più così, il daspo è stato persino esteso al gruppo e non più solo al singolo, ma il clima dopo quella maledetta finale di Coppa Italia, dopo la morte di Ciro Esposito, quelle squallide immagini del capoultrà che incitava alla rivolta, si era fatto pesantissimo. E che non fossimo ancora usciti dall’incubo l’ha dimostrato anche la recente partita di Champions tra Roma e Cska Mosca, con il solito disgustoso contorno di risse e accoltellati.Per fortuna poi è arrivato un ragazzotto che ha spezzato questo cerchio d’angoscia, rifilando un calcio non solo al pallone, ma a coloro che hanno circondato di filo spinato questo sport. Così, come giustamente la “Gazzetta dello Sport” commentava, “in un calcio spietato, che vive di business e di milioni e dove tutto si consuma a colpi di banconote, c’è ancora spazio per emozionarsi per un gesto semplice come un abbraccio”. Alessandro sapeva che sua nonna era lì, era venuta apposta per lui, che i suoi occhi erano solo per lui. Quando ha segnato non ha più visto o sentito nulla: è uscito dal campo e ha cominciato a guadagnare i gradoni della tribuna per cercare quell’angelo custode e condividere con lei un momento unico. Pazienza per la conseguente ammonizione (ma questa norma, potrà mai cambiare?) e la conseguente multa: “a volte il valore di una persona va oltre quello dei soldi”, ha detto lui senza pensarci un attimo. E il suo allenatore ha subito approvato: “il suo - ha spiegato Garcia - è stato un gesto istintivo e bellissimo, sono felice di vedere queste cose dai miei giocatori”. Era la prima volta nella sua vita che la vispa 82 enne veniva allo stadio: non era stata neppure bene, ma la tentazione di vedere l’adorato nipote ha prevalso su tutto: “Per me è stata una grande emozione - spiega lei -, non nascondo, dopo quell’abbraccio, di aver pianto. Alessandro me l’aveva promesso che sarebbe venuto a cercarmi in caso di gol, ma in mezzo a tutta sta gente, chi se lo immaginava?”. Invece è accaduto, e anche se a un certo punto, più che allo stadio, ci sembrava di essere al cinema a vedere un film di Verdone e sora Lella, siamo lieti che sia accaduto, proprio nella nostra vituperata Italia: il calcio ha riacquistato un briciolo di umanità…

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