La sequela di notizie nazionali giornalmente, trasmesse in carta e in voce, oltre che ricorrenti, appaiono ormai monotone, se private dei loro spesso drammatici, altre volte laidi e disdicevoli, contenuti : la durevole flessione dei consumi, il numero crescente di famiglie che vivono senza redditi da lavoro, i barconi sovraffollati, carichi di speranza e dolore con la prua su Lampedusa, la confisca di beni ad organizzazioni delinquenziali, dedite alla truffa, al malaffare, agli arricchimenti illeciti. Né può destare maggiore interesse il vacillante tentativo del giovane Renzi che rischia di naufragare, soffocato dalle opposte pressioni di nuovi alleati in cerca di gloria e di vecchi rancorosi compagni assetati di rivincite.Il coro delle critiche, le innumerevoli ricette pretenziosamente risolutive, i ringhiosi latrati delle organizzazioni di categoria che si intrecciano con gli opportunismi elettoralistici di questo o quel partito, tanto palesi, quanto deplorevoli, non possono suscitare che rabbia, sdegno, confusione e, al tempo stesso, rassegnazione. Nessun elemento di novità alle viste, ma solo un melenso, ammuffito, assurdo, ritornello, metricamente noioso per la sua ripetitività.L’allarme che arriva da Courmayeur, riguardante la frana del Mont de la Saxe, viene mescolato con le mille miserie che affliggono il Paese e fatto passare, con ottuso fatalismo, per un evento ineluttabile da addebitare interamente alle inesorabili, cieche forze della natura, che si apprestano a consumare un altro disastro annunciato, inevitabile come le inondazioni d’autunno.Chiunque si avventuri sull’argomento dello zero termico, viene ascoltato distrattamente, o intruppato nella schiera dei catastrofisti, abbarbicati all’improbabile teoria del riscaldamento globale, una sterile fantasia, se paragonata alla grande crisi economica ancora in essere.Occupando queste poche righe intendo comunque, esprimere la mia opinione sul tema, nella consapevolezza che il solito negazionista, mettendovi dentro per qualche istante il naso pregiudizialmente arricciato, la liquidi con il sarcastico sorrisino di compatimento.Lo zero termico, come molti sanno, è quell’altezza sopra il livello del mare al di sopra della quale la temperatura è inferiore a zero gradi Celsius. Esso varia da luogo a luogo e con le stagioni, essendo funzione di parecchie variabili meteorologiche, alcune di facile intuizione ( pressione atmosferica, esposizione ai venti, presenza di vegetazione, etc.). Le zone montane, ricoperte dalle “nevi eterne”, permangono ben al di sopra di quel limite in uno stato di glaciale inerzia.A scuola i ragazzi, al loro primo approccio con la Chimica, imparano che le rocce e il terreno sono corpi solidi cristallini, i cui atomi rimangono tenacemente avvinti l’un l’altro per mezzo di legami stabili e intensi. La loro stabilità può essere compromessa dal contatto con l’acqua che, per sua natura, scioglie prima o poi qualsiasi solido con cui entra in contatto.Alle altitudini superiori allo zero termico le molecole di ghiaccio, prive di mobilità, non riescono ad esercitare il loro potere solvente.Se lo zero termico si arrampica sul profilo altimetrico, la fusione dei ghiacciai si trasforma in un micidiale motore erosivo che, facendo coppia sinergica con la gravità, evolve inesorabilmente verso la frana.Certo i Valdostani sono comprensibilmente preoccupati per i quattrocentomila metri cubi di materiale che incombono sulle loro strutture turistiche, ma ciò che sta accadendo lungo le pendici del Monte Bianco è un segnale preciso che vola ben oltre le Alpi e gli oceani.Secondo stime di massima affidabilità puntualmente riportate in tutti i rapporti settoriali, il tasso di anidride carbonica, il principale gas serra, esito delle combustioni di carbone, petrolio e gas naturale, ha raggiunto livelli compatibili con l’aumento di un grado della temperatura media planetaria e la prospettiva che, in assenza di interventi, si raddoppi entro qualche decennio, raggiungendo il limite massimo fissato e condiviso dalla stragrande maggioranza della comunità scientifica.Le principali conseguenze, puntualmente dettagliate nei rapporti dell’ IPCC (International Panel Climate Changes), delle N.U., della FAO, di altri organismi sovranazionali e giacenti sui tavoli dei “decisori politici”, sono riassunte in scenari ormai privi del carattere previsionale e sempre più vicini, invece, alla realtà, La parete del Saxe che da cinque anni lancia il suo messaggio è solo un piccolo segnale se raffrontato con quei terribili scenari.Le stesse voci che denunciano i rischi dei cambiamenti climatici forniscono indicazioni sui provvedimenti, riassumibili in un solo concetto: cambiamento vero, deciso, condiviso e non più rinviabile.E’ tempo di ribaltare la prevalente, se non unica, filosofia del PIL. La tanto auspicata crescita può armonizzarsi con la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie meno invasive in grado catalizzare un’inversione di tendenza e di offrire insospettate opportunità di lavoro per le generazioni future.Alita però l’idea, ed è un’ipotesi inquietante e temuta, che tra le fredde ( ma ben riscaldate) mura del “potere” non ci sia la volontà di voltar pagina. Sorge il sospetto che in quei cervelli abbrutiti dalle megacifre, dai bilanci e dai profitti, prevalga l’antico progetto di mantenere o, peggio, aumentare il disagio e il malessere poiché è molto più facile soggiogare menti ipoglicemiche e pance vuote. Ben vengano per costoro gli uragani, le diminuzioni dei raccolti, l’aumento dei prezzi le migrazioni di massa, i conflitti.E poco importa se gli orsi bianchi, privati del loro naturale “habitat”, spariranno.
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