Chi mai può essere a scrivere una lettera da cui traspare un pizzico di nostalgia nel ricordare le ore di lezione trascorse tra un’equazione e un tema, un’esercitazione di laboratorio e una versione di latino, tra una sospensione e un premio? In verità è un’esperienza che capita spesso a certi insegnanti oramai in pensione, resi fragili dal numero degli anni, ma ancora fortemente ancorati ai tanti ricordi ravvivati da vecchie foto ingiallite che continuano a raccontare fatti, persone e volti dal tempo certamente cambiati. E tra questi ci sono anche loro, gli insegnanti di una volta, quelli che difficilmente si dimenticano, quelli che hanno lasciato l’anima dentro la classe, che hanno saputo dare tanto spazio ai ragazzi difficili quanto non ne hanno fatto mancare ai tranquilli. Anni e anni di insegnamento spesso vissuti nella stessa scuola, tra gli stessi colleghi, tanto da contribuire a creare un alone professionale reso talvolta pesante da giudizi e pregiudizi. Docenti venuti da un altro pianeta, additati per un eccessivo rigore o perché troppo severi e poco tolleranti o comunque accusati di essere portatori sani di assurde pretese che si materializzavano alla lavagna durante le interrogazioni. Ebbene anche per questi matusalemme della cattedra arriva il ben servito. Un commiato che, se non fosse per certe lettere scritte dai ragazzi, cariche di sentimenti perché scritte con il cuore, passerebbe nella più totale indifferenza. Ma per fortuna ci sono loro, i ragazzi. Quelli che hanno sempre gioito per i buoni voti e quelli che, invece, con i brutti voti hanno dovuto sempre fare i conti; quelli che sono stati considerati come dei numeri e quelli visti nella loro personalità in divenire; quelli a cui non è mai mancata una parola buona e quelli che hanno, invece, conosciuto l’asprezza del carattere reso ancor più pesante da una difficile relazione. Sono lettere che contribuiscono a ricostruire un passato, una cultura che restituisce alla memoria uno spaccato della propria vita professionale e un’identità di gruppo che però non ci sono più, proprio perché non ci sono più quei ragazzi. Ma il passato è passato e quand’anche sia sempre lì ancorato al presente, tuttavia ciò che è successo fa parte della propria storia, mentre l’attenzione è rivolta ora tutta al presente che talvolta non manca di riservare sorprese come certe lettere dai toni marcati, confidenziali, quasi famigliari come solo i ragazzi sanno mettere in pratica. E allora quando meno uno se lo aspetta, ecco che arriva il classico «Carissima o carissimo prof». Sin dalle prime righe si capisce subito che si tratta di un ex studente, magari cresciuto in fretta tanto da saper toccare le corde giuste in grado di trasmettere sentimenti, emozioni quasi senza limiti che si ritenevano addormentati e che continuano, invece, a riempire il cuore di gioia. Una lettera talmente ricca di particolari da riuscire a restituire importanza a una certa attività didattica fatta però in un certo modo. Una didattica coinvolgente, potenziata non solo di contenuti, che pure si rivelano importanti ai fini di una determinata competenza, quanto di relazioni, di attenzioni, di occhiate in grado di leggere lo stato d’animo dei ragazzi, i loro dubbi, le loro perplessità, gli interessi, le angosce. Una didattica laboratoriale che andava oltre la tradizionale prassi per proporsi come occasione unica in grado di soddisfare la sete di ricerca culturale e di conoscenza personale. Un metodo vincente capace di tenere legati alla scuola ragazzi che altrimenti si sentirebbero in dovere di abbandonare. Capita a tutti, prima o poi, di essere ricordati da ex alunni, oggi decisamente sugli anta, socialmente impegnati e magari affermati professionisti, con negli occhi l’insegnante di sempre, esigente quanto paziente, determinato quanto risoluto, ricordato forse anche per un particolare senso dell’umorismo ancorché per le indimenticabili doti umane e tuttavia mai scaduto in un infausto rapporto amicale. Il più delle volte queste lettere sono occasioni per restituire alla memoria la performance della persona. E allora il ricordo va alle interrogazioni, ai giudizi di valutazione, ai voti, alle note sul registro, ma anche a un particolare modo di vestirsi, all’importanza del dialogo, al rispetto riservato agli alunni.Ciò che lascia in vita il ricordo è, secondo una mia personale opinione, soprattutto l’arte di porsi di fronte ai ragazzi, quella che Socrate chiamava «l’arte della maieutica», ovvero un particolare modo di fare, di porre le questioni al punto da condurre l’interlocutore a trovare dentro di sé una capacità vitale fino a scoprire la verità. Un personaggio amato e odiato nello stesso tempo, forse per il suo modo ironico per far emergere la verità. Il maestro dei maestri ha dato sicuramente fastidio ai potenti di Atene, poiché considerato il «piú stravagante degli uomini e che non fa che seminar dubbi», ma ha nel contempo lasciato una traccia indelebile nei suoi allievi. Un bel dire! Roba d’altri tempi. Molte cose, oggi, sono cambiate nella scuola. Dagli bidelli ai colleghi, dai alunni ai genitori. Anche l’ambiente non è lo stesso. Ricordo che negli anni settanta, durante i miei primi anni di insegnamento, la principale discussione in sala proff. era come fare ad arrivare al cuore dei ragazzi, come impostare una lezione, come evitare le banalità. Un confronto vivace, talvolta provocatorio, ma esaltante. Tutto imperniato sul da farsi. L’elemento didattico era predominante. La scuola era tutto un fermento con le schede di valutazione entrate a sostituire le pagelle, i giudizi al posto dei voti, l’aggiornamento assunto a prassi. Durante i consigli di classe emergevano particolari variabili che facevano di quell’organo collegiale un’occasione di scoperta di una propria identità. Non che il confronto fosse senza tensioni. Anzi. Ora, però, qualcosa è cambiato anche in questo. Si parla soprattutto di problemi legati alla famiglia, ai figli, alla società malata, all’economia che va male, ai cattivi investimenti in borsa. Non mancano accese discussioni sul governo Berlusconi, su certi ministri come Tremonti, Brunetta e Gelmini, sugli sbarchi a Lampedusa, sui no tav della Val di Susa e il «Corridoio 5».Come si vede è tutta un’altra cosa.
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