«Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi». Se volessimo ragionare un pochino su questo vecchio proverbio si potrebbe dire che i fanti li troviamo sulla scacchiera e con essi possiamo pure giocare senza che una qualche reazione possa nuocere, ma i santi no. Quelli è meglio non toccarli. I santi sono tutti coloro che con sacrificio e autorevolezza si impegnano nel proprio lavoro, nel volontariato, in famiglia nell’educazione dei figli. A costoro va, quindi, tutta la nostra riconoscenza. Più o meno la stessa cosa possiamo dire quando si parla di insegnanti. E allora, parafrasando il vecchio proverbio, si potrebbe dire, per esempio, «scherza con tutti quanti, ma lascia stare gli insegnanti». Il perché è presto detto. Quando si va a toccare il tasto del riconoscimento del merito riferito alla classe docente, la reazione non si fa attendere e talvolta può persino essere letale per il ministro di turno. E’ accaduto a Luigi Berlinguer, responsabile al dicastero dell’istruzione alla fine degli anni novanta, costretto a dimettersi dopo aver pensato a differenziare gli insegnanti in categorie meritocratiche. Ovvero riconoscimenti economici differenziati a seconda del merito riconosciuto. Non l’avesse mai detto! Tutti in piazza a ricordargli che gli insegnanti non si toccano; che la meritocrazia non fa per la classe docente; che il disegno meritocratico è un disegno «eversivo», poiché divide la categoria in responsabili e lavativi, in sgobboni e fannulloni. In fin dei conti il ministro Berlinguer voleva rivedere il sistema scuola che comportasse il riconoscimento di un maggior impegno commisurato a un maggior livello retributivo. Ma evidentemente i tempi non erano ancora maturi. Il risultato? Ritiro del disegno di legge e dimissioni del ministro. Gli insegnanti non si toccano! Eppure talvolta bisogna toccarli eccome. Senza fare di un’erba un fascio, ancora oggi il sistema non consente di intervenire a valorizzare adeguatamente ciascuna professionalità. Nelle nostre scuole, infatti, c’è di tutto e di più. Ci sono docenti preparati che devono fare i conti con chi non si cura della propria professionalità; ci sono docenti impegnati che devono confrontarsi con chi non vede l’ora di tornare ai propri interessi; ci sono docenti dalla grande sensibilità pedagogica che devono fare i conti con chi preferisce sostituire la conoscenza pedagogica al chiacchiericcio educativo. Ora che siamo alla vigilia di rinnovi contrattuali normativi e legislativi, si deve avere il coraggio di ammettere che la scuola è un malato cronico e come tale richiede una cura da cavallo. Non con i tagli né con la riduzione degli investimenti, ma con la valorizzazione di una categoria che è stata fatta oggetto, per troppo tempo, di infauste e ingiuste attenzioni. Anche da parte dei genitori che spesso fanno i professori dei professori. Certo non mancano cattivi esempi di insegnanti che fanno di tutto per affossare un’intera categoria. Docenti problematici, visionari, rancorosi, alla ricerca del solito parente infermo per abusare di leggi protettive. Cattivi esempi di pochi che seminano ingiusti discrediti su molti. Ma per fortuna c’è la scuola che piace. La scuola fatta di insegnanti che si spendono, senza risparmiarsi, per migliorare il rendimento dei ragazzi; di insegnanti che dedicano più tempo del dovuto alla cura della propria crescita professionale, senza lasciarsi sopraffare dal peso che i cambiamenti tecnologici fanno sentire. Metodi, mezzi e strumenti impongono ritmi diversi da dedicare anche e soprattutto all’impostazione di rinnovati processi didattici. Per essere sintetici il lavoro dell’insegnante si è fatto più intenso. Non tutti i docenti hanno però colto con favore certi cambiamenti, come pure non tutti i docenti hanno risposto alla stessa maniera al rinnovamento in atto. E allora si ripropone l’annoso problema. Perché continuare a distribuire a pioggia meriti che non tutti possono vantare di ricevere? Perché riconoscere ai negligenti lo stesso livello retributivo riconosciuto ai docenti operosi? Forse è un modo improprio di porre un problema e allora provo a prenderlo da un altro verso. Diciamo subito che tutti i docenti sono chiamati a compiti gravosi che non si esauriscono a scuola. Anzi il più delle volte le lezioni mattutine rappresentano solo una parte del lavoro che trova poi continuità nei pomeriggi sia a scuola che a casa. A scuola si continua con i consigli di classe, le riunioni collegiali, il coordinamento delle proposte progettuali, il rapporto con enti esterni. Un lavoro che, sia pure con qualche variabile, continua a casa dove, tra un impegno famigliare e l’altro, il docente deve spesso trovare spazio per la correzione dei compiti, la programmazione e la preparazione delle lezioni; deve predisporre l’utilizzo del materiale didattico, avvalendosi anche delle tecnologie che consentono di operare senza interruzione tra scuola e casa. Le nuove diavolerie (internet, intranet, mms, sms, iPad, chat, video chat, ecc.) sono diventati necessari strumenti di lavoro che mettono a dura prova la fragile resistenza del docente che volente o nolente deve adeguarsi. Eppure c’è qualcosa che non bisogna ignorare. E’ risaputo che non tutti i docenti accettano questi ritmi di lavoro. E poi perché mai accettarli. A ben guardare sono in tanti a mettere in risalto una contropartita che non giustifica un surplus di impegno. A parte il basso livello retributivo che pure ha la sua maledetta importanza, sono in molti a chiedersi perché impegnarsi in una società che fa fatica ad accettare gli insegnanti? Una società che ogni mattina si risveglia sempre più insicura, più preoccupata, più prigioniera dell’aleatorietà di regole sempre più difficili da rispettare e da far rispettare. Viviamo in una società che preferisce mettere all’angolo la cultura mentre valorizza il culturismo; che preferisce mandare in televisione «i velini» piuttosto che stimolare la conoscenza critica; che preferisce zoomare su pupe, palestrati, tronisti, e opinionisti di gossip piuttosto che portare l’attenzione su chi vuole imparare e su chi vuole imparare a vivere. Per questi ultimi non c’è spazio, non c’è visibilità, non ci sono margini di attrazione. Per ottenere ciò più che lo sciopero delle lezioni bisogna fare lo sciopero della fame.
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