CAVENAGO Chiude la trattoria “La Speranza”, se ne va un piccolo pezzo di storia

Dopo 57 anni va in archivio l’esperienza della famiglia Biatta: «Smettere è difficile»

Arrivo alla trattoria “La Speranza” di Cavenago d’Adda che sono fiacco, i tepori surriscaldati dei primi giorni caldi si sono già fatti sentire: chiedo acqua e zucchero per carburare nuovamente. La signora Mariagrazia mi fa rifocillare con due ottime fette di torta da lei preparate: sono di una squisitezza straordinaria, ne assaporo il gusto, al punto tale che, fossi stato in ottima forma, avrei finto comunque un malessere, sapendo che a rimettermi in sesto sarebbero state queste bontà.

Tuttavia, non sono qui per scrivere sul cibo, bensì per una ragione diversa: lo storico chef Giuliano Biatta, che prima di essere cuoco, è stato un grande campione di ciclismo, chiude i battenti del proprio locale.

Titolo triste: 57 anni di storia vanno in archivio. Sottotitolo: i veri campioni sanno quando smettere la propria maratona e passare il testimone.

Giuliano Biatta è uno chef di livello ed un uomo dal cuore generoso. Uno che la vita ha saputo capirla, e raccontandola dice cose profonde, mai banali: «Smettere è sempre difficile, qualunque sia il progetto di vita che va a concludersi», mi spiega in un soffio.

Complicato come quando scendesti dalla sellino della bici, tanti anni fa? Eppure potevi continuare, anche in quel caso…

«È chiaro che quando si conclude una passione i risvolti sono di un certo tipo. Ma in questo caso, oggi, termina un dovere: allora le conseguenze sono differenti. C’è una semplice verità, nella vita come nello sport: puoi tirare, tirare, tirare, ma alla fine il conto della fatica si presenta improvviso, tutto in una volta».

Capisco cosa vuoi dire, Giuliano.

«Però ci sono alcune analogie, con lo sport e con il passato, che mi danno conforto. Quando ho smesso con la bicicletta ho sposato Mariagrazia ed il matrimonio ha cambiato la mia vita prima di giramondo: è stato come mettere radici. Adesso che la mia esperienza di chef arriva alla conclusione sto per diventare nonno: nel giro di un mese sono previsti i parti delle mie due figlie, farò doppietta di nipotini nel giro di poche settimane».

Complimenti, anche alle ragazze!

«Sai una cosa? La gente mi chiede: Giuliano, ma perché chiudi? È la mia risposta è: il tempo ha fatto il suo corso. Ti faccio un altro esempio con la mia esperienza ciclistica: nella corsa io ero un combattente, ma quando correvo le ultime tappe del tour andavo in acido lattico e pedalare era una sofferenza. Lo stesso adesso è in cucina: la schiena certi giorni è a pezzi».

Ha ragione la gente a stupirsi: sei sempre stato apprezzato.

«Ho cercato di essere disponibile. Domenica scorsa il locale era al completo, ed un cliente mi ha chiesto di fare l’asporto. Non mi sono sentito di non accontentarlo».

Qual è il risvolto che più ti fa riflettere di questa scelta di chiudere?

«La cosa che mi fa soffrire è che il territorio perde davvero un locale storico: noi Biatta, cominciarono i miei genitori, l’abbiamo condotto per 57 anni, ma esisteva da prima. Spero che qualcuno si faccia avanti, chiavi in mano può prenderlo così com’è. Le mie foto di quando correvo, lì sul muro? No, quelle le toglierò. Non voglio che questo diventi un museo, finchè c’ero io avevano un senso, e poi ciascuno è giusto che dia la propria impronta».

Il piatto della tua cucina che hai piacere sia ricordato nel tempo?

«Me ne vengono in mente tanti, come faccio a sceglierne uno? Potrei dirti il coniglio in guazzetto che cucinava addirittura mia nonna. O il risotto agli antichi sapori, con i durelli di tutti gli animali, le parti dimenticate che invece, valorizzate, offrono sempre un gusto speciale».

Quando chiudete?

«La chiusura è prevista per fine giugno. Poi se chi rilevasse il locale, mi chiedesse una mano, sono disposto ad un sacrificio personale e a continuare finchè non acquisisca autonomia, padronanza e sicurezza: la ristorazione alletta molti interessati, però la passione da sola non è sufficiente, occorre anche la competenza».

Come possiamo salutarci?

«Vorrei ringraziare tutti i clienti. Dobbiamo sforzarci di fare finta di niente: c’è chi si commuove quando apprende che smetto, e così finisco per piangere anch’io. Con mia moglie, vogliamo ringraziare anche chi ci ha aiutato in questi anni in sala: Federica, Natalina, Pietro, Daniela, anche Arlin, che è appena arrivata, è indiana, molto brava».

Rimarrete in paese?

“«No. Mia moglie ha una casetta in Franciacorta, potremmo andare lì, ma più realisticamente cercheremo casa in prossimità di dove abitano le nostre figlie, così le aiutiamo nel nostro ruolo di nonni. Adesso, ci dobbiamo reinventare la vita».

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